giovedì 31 dicembre 2009

Il posto dei cattolici nell'Italia di oggi

Qualche tempo fa il professore Franco Monaco, cattolico e ulivista prodiano della prima ora, scrisse un articolo molto polemico su l’Unità, bollando come questione “meramente politica”, e non ideologica e culturale, il grido d’allarme e la richiesta di maggiore attenzione lanciati dai cattolici sofferenti nel Pd. A detta del professore il Pd bersaniano avrebbe finalmente impresso una svolta decisava al proprio corso, superando le contraddizioni interne (derivanti dalla somma di identità spesso contrapposte) per raggiungere una visione politica comune e unitaria. Magari Monaco, pur di vedere realizzato il grande sogno di Romano Prodi, è disposto a sopportare la dura e inequivocabile realtà dei fatti. Ma noi no: il Pd italiano altro non è che una riedizione dell’apparato burocratico e gerarchico del Pds-Ds con qualche innesto popolare ex Dc. Naturale che i cattolici siano in sofferenza! La nostra irrilevanza è evidente e sotto gli occhi di tutti: solo al momento del voto sui delicati temi etici ci si ricorda di noi e tutti sono pronti a bollarci come clericali, servi del Vaticano e cose così irragionevoli e sciocche che non sto qui né a riportare né a commentare. Ma come è stato possibile cadere così in basso? Dopo la tumultuosa fine della Democrazia Cristiana e l’archiviazione della Prima Repubblica, i cattolici si sparpagliarono fra gli schieramenti (in questo spinti anche dal Card. Camillo Ruini, che lo riteneva un bene), finendo tra le grinfie ora di Berlusconi ora di Prodi, D’Alema o Veltroni. Condannati a fare da stampella o in alternativa all’insignificanza. La strada della divisione ha portato solo alla debolezza e all’emarginazione delle proposte politiche portate avanti dai cattolici. Ecco perché oggi bisogna proporre una nuova formula di unità per i cristiano democratici: non più dell’unità assoluta, ma neanche della frammentazione controproducente. A mio avviso è al progetto del primo Partito Popolare di Don Luigi Sturzo che dobbiamo guardare: non un partito confessionale e cattolico, ma aconfessionale e di cattolici, che riesca ad accogliere anche i laici più ragionevoli e che possa rappresentare al meglio anche le varie tendenze liberali e moderate. È questa la vera sfida della pluralità e della molteplicità, non certo quella portata avanti dal Pd: forse lo era nelle intenzioni, ma non certo nell’attuazione. Sentir parlare di posizione prevalente e libertà di coscienza fa sorridere se si pensa che i dirigenti democratici minacciano l’espulsione ogni volta che qualche deputato si permette di votare in modo difforme da quello che è l’ordine di scuderia. Oggi l’Udc, insieme a movimenti minori come la Rosa per l’Italia, i Circoli Liberal di Adornato e i Popolari di De Mita, ha messo in cantiere un processo costituente di riunione dei moderati, sia cristiani che laici, attuando quindi una nuova formula di unità, che supera di fatto il rigoroso puritanesimo cattolico della Dc, aprendosi ai moderati di varia estrazione, e proponendosi come casa accogliente in cui più nessuno dovrà vergognarsi di mostrarsi per quello che è veramente. I più guardano a questo processo con sufficienza, ma sono convinto che oggi più che mai un grande partito di centro moderno, liberale e popolare sia indispensabile. Per costruirlo, però, non basta l’Udc. Io credo (e temo), purtroppo, che gran parte dei cattolici sia afflitta da due grandi mali: l’immobilismo e la voglia di inglobamento. Il primo è sotto gli occhi di tutti: pur di non perdere le poltroncine e sgabelli vari, si è disposti a rinunciare alla propria autonomia e libertà. Il secondo, invece, è più latente, meno evidente. Io stesso me ne sono reso conto solo ultimamente, specie quando ho avuto modo di parlare con un consigliere comunale del Pd della provincia nissena. Questi mi ha raccontato di essere disponibile a lottare per la costruzione di un partito di Centro, ma solo se questo significa creare qualcosa di veramente nuovo, non un semplice allargamento dell’Udc con fini meramente elettorali. Ecco perché servono programmi, progetti e proposte, che siano seri, costruttivi e concreti. Uno di questi potrebbe essere l’attivazione di un tavolo a livello nazionale (con la possibilità di sezioni territoriali) dove nessuno debba dover rinunciare preventivamente alle proprie appartenenze politiche, dove il reciproco rispetto della legittimità delle altrui opinioni politiche sia il fondamento di una ricerca serena e costruttiva di soluzioni, il più possibile condivise, dirette al conseguimento del bene comune. Un tavolo caratterizzato dalla comunanza dei principi della Dottrina Sociale Cristiana e che possa riconoscersi nelle encicliche sociali come l’ultima Caritas in Veritate. Un luogo libero e franco, in cui lavorare insieme alle associazione culturali e alle varie espressioni del laicato e dell’associazionismo cattolico. Un tavolo da costruire subito, tutti insieme, per evitare di diventare servi inutili di un’idea politica sbagliata.

giovedì 24 dicembre 2009

Buon Natale a tutti. Ma proprio tutti!

Buon Natale ai nostri lettori e ai nostri detrattori. Buon Natale a chi ci ama e buon natale a chi ci odia. Buon Natale a Casini e a Fini. A Rutelli e a Berlusconi. A Bersani e a Di Pietro. A Ferrero e Vendola (sì, anche a loro). A Schifani e a Napolitano. Buon Natale a chi crede e a chi non crede. Buon Natale a chi domani andrà a messa e a chi invece resterà a dormire in casa propria. Buon Natale a chi lo aspetta e buon Natale a chi lo odia. Buon Natale a De Bortoli e a Belpietro. A Boffo (di cuore) e a Feltri (meno). Auguri a chi, nonostante tutto, si sente ancora un democristiano. O fascista, comunista o liberale. Auguri a chi staserà mangerà al calduccio tra amici e parenti e auguri a chi invece sarà sui tetti o chiuso nelle fabbriche a protestare. Auguri (sentiti) a chi vota Udc. Auguri a chi sceglie di votare Pdl e a quelli che votano Pd. Auguri anche alla Lega e all'Idv, con la speranza che il 2010 porti in casa loro un po' di moderazione. Auguri ai ricchi sfondati. Auguri ai poveri (e ai poverissimi): possa Dio aiutarvi. Auguri al Papa (e agli Imam). Auguri ai professori e agli intellettuali. Auguri anche alle veline e ai veloni. Alle donne bellissime come Belen e alle donne semplici come la Bindi. Auguri a Marrazzo e a Brenda. E soprattutto a Roberta, la moglie, che in tutta questa storia è quella che ha sofferto di più. Auguri grandissimi alle famiglie delle vittime dell'Aquila e a quelle di Giampilieri. Auguri anche a chi è restato. Auguri alla famiglia di Stefano Cucchi (che la verità possa venire a galla) e alla famiglia di Eluana (possa la pace essere con voi). Auguri a Internet e ai giornali. Auguri ai pendolari e ai sindacati. Auguri a tutti i deputati, ai senatori, agli europarlamentari, ai ministri e ai loro elettori. Auguri alla Costituzione e alla Democrazia. Auguri agli immigrati e a tutti i maltrattati. Auguri a tutti noi. Auguri all'Italia, tutta intera.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il regicidio mancato e il dialogo necessario

Puoi uccidere quest’uomo con tranquillità. (Victor Hugo, Chatiments)

Albert Camus ha dedicato alcune delle pagine più belle e significative del suo “L’Uomo in rivolta” al regicidio, la più alta forma di attacco alla Monarchia. Uccidendo il Re si uccide il suo Regno, si attacca, quindi, direttamente il fulcro emanatore del suo potere. Camus prende a modello il regicidio più famoso della storia, quello perpetrato ai danni di Luigi XVI, ultimo re della Francia assolutistica e totalitaria. Il filosofo francese spiega con grande semplicità che “non sempre il regicidio diventa sinonimo di libertà”. A volte, infatti, potrebbe semplicemente essere un modo di sostituire un re scomodo, non amato dai sudditi. Di intrighi del genere ce ne sono stati tanti nel mondo antico. Chi non ricorda le congiure di palazzo a Roma durante i fastosi banchetti imperiali? Ciò nonostante quando un imperatore veniva assassinato, veniva immediatamente nominato il suo successore: a nessuno sarebbe mai venuto in mente di ucciderlo per mettere la parola fine al potere imperiale. E così è stato a lungo nella storia, fino a quando sul patibolo non salì Luigi XVI. “Vive la République!” fu il grido che pervase le strade di una Parigi in festa: dopo di lui i francesi non vorranno più nessun altro re. Prima di lui già Oliver Crowmell se ne era servito in Inghilterra per eliminare lo sconfitto Carlo I e sostituire alla monarchia un governo repubblicano. Ma oggi, dicembre 2009, un regicidio è ancora pensabile? È ancora ipotizzabile colpire il massimo esponente di un sistema democratico? Di sicuro è possibile farlo. Abbiamo visto tutti cosa sia successo al Presidente del Consiglio due domeniche fa a Milano: una riproduzione in gesso e metallo del Duomo di Milano lo ha colpito in pieno, causandogli la frattura di due denti e del setto nasale. Le immagini di quegli istanti ci sono state riproposte centinaia di volte in televisione, accompagnate ogni volta da commenti di autorevoli personaggi, pronti a condannare questo atto di violenza inaudito e ingiustificabile. Più o meno, dicevano tutti la stessa cosa, finché un intellettuale di grande valore come Giuliano Ferrara, direttore de “Il Foglio”, si è chiesto: “e se fosse regicidio?”. Ammettiamo pure che lo fosse (in fondo Berlusconi è pur sempre il nostro presidente del consiglio e resta il leader assoluto del più grande partito politico italiano) resta da definire l’identità di questo regicidio e il suo obiettivo finale: lo psicolabile Tartaglia voleva colpire lo Stato, rappresentato in quel momento dal premier, o il Berlusconi uomo? La risposta è scontata: il colpo era indirizzato all’uomo, non all’istituzione. È bastato un attimo, un solo attimo e il Principe Silvio si è trasfigurato in una maschera di sangue, il suo corpo si è fatto pesante ed è crollato a terra e il suo sguardo è diventato assente. Sembrava davvero la fine più cruenta e terribile del quindicennio berlusconiano. E invece è andata bene: Berlusconi si è rialzato ed è stato prontamente ricoverato, al sicuro da ogni altro rischio. Prima di lui solo Mussolini ci era andato così vicino. La mattina del 7 aprile 1926, infatti, venne ferito da una donna inglese, Violet Gibson, che gli sparò da distanza ravvicinata, ferendolo lievemente al naso. Il giorno dopo, Mussolini, appena medicato prima di recarsi in Libia, commentò: «Le pallottole passano e Mussolini resta». Ma già Niccolò Machiavelli nel suo De Principatibus metteva in guardia il Principe dal male che i suoi sudditi avrebbero potuto tramare nei suoi confronti e per questo lo invitava a essere “furbo come la volpe e forte come il lione”: il Principe deve “antivedere” ogni possibile “disastro” e cercare ogni mezzo per neutralizzarne i danni. Non so quanto il nostro Principe sia stato in grado di farlo: di sicuro non lo è stata la sua scorta, che lo ha ripetutamente esposto a rischi sempre maggiori nei minuti dopo il lancio della statuetta. Karl Marx nell'incipit de Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte scrive: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Se è davvero così, la trasfigurazione sanguinolenta del premier rappresenterebbe il primo segno del suo declino e ciò rischia solo di infervorare il già teso clima politico ancor di più. Gli estremisti non mancano, in nessuno dei due poli. Si presentano solo in forma diversa: a sinistra giustizialisti e forcaioli, a destra reazionari e “proscrizionisti”. E in questo modo il dialogo necessario tra i due poli viene meno e viene soffocato dal protagonismo di qualche aspirante leaderino. I risultati di questa politica dello scontro e del sangue sono sotto gli occhi di tutti: il tentato regicidio ai danni di Berlusconi ne è la prova più evidente. Oggi serve necessariamente il dialogo e tutti noi abbiamo il dovere morale e politico di favorirlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Anche a costo di scontrarci con i pregiudizi dell’opinione pubblica. Oggi servono coraggio, riflessione e buona volontà. Li troveremo?

Per le regionali costruiamo una casa dei moderati

Le elezioni regionali si avvicinano ormai. Siamo già entrati in pieno clima pre elettorale e le varie candidature sono già state scelte: tra le più attese, è stata confermata la piena sudditanza del Pdl alla Lega, che conquista Veneto e Piemonte, scalzando rispettivamente gli azzurri Galan e Crosetto. In Lazio è invece l'occasione di Renata Polveriri, Ugl, vicina agli ex An, mentre aperte restano le partite in Puglia e in Campania. E aperta resta ancora la partita dell'Udc e di Alleanza per l'Italia, che non sembrano essersi ancora messi d'accordo su come muoversi. Unico dato certo il fatto che Api o correrà con il proprio simbolo in alleanza con noi, oppure inserirà direttamente suoi candidati nelle nostre liste. Ottima notizia, anche perché questo potrebbe essere veramente il banco di prova per testare la resistenza e la forza reale del nostro progetto. Perché però tutto possa riuscire nel migliore dei modi, è necessario che non si commettano errori tattici o politici: se vogliamo davvero svecchiarci e presentarci come il nuovo, dobbiamo essere disposti a mettere in gioco tutto. A cominciare dal nostro simbolo. A livello regionale noi dell'Udc abbiamo sempre reso bene, meglio rispetto alle competizioni nazionali e gli ultimi sondaggi sono dalla nostra parte: secondo il Liberale, infatti, un terzo polo centrista e moderato supererebbe il 10 per cento in molte regioni e a livello nazionale raggiungerebbe il 9,5 per cento dei consensi. Ma questa è una stima basata solo sulla somma dei voti di Udc e Api. Una casa dei moderati veramente nuova potrebbe tranquillamente inglobare anche la miriade di partiti regionali, spesso di ispirazione cristiana o liberale: penso a IO SUD della Poli Bortone, ai MODERATI PER IL PIEMONTE di Portas, alla SVP, allo stesso MPA di Raffaele Lombardo, con cui Rutelli in questi giorni sta avendo più di un abboccamento, e ai vari gruppi popolari della Basilicata. Senza contare il fatto che si potrebbero coinvolgere anche il PRI di La Malfa, il PLI di De Luca, i LIBERALDEMOCRATICI e il PSDI. Una coalizione moderata inedita, che diventerebbe la base, poi, per il completamento del progetto della Costituente di Centro. In fondo, è questa la struttura futura che ci vogliamo dare: non centralisti e romano centrici, ma federali e aperti alla collaborazione con le varie autonomie regionali, vere espressioni del territorio. Invece di preoccuparci se appoggiare questo o quel candidato, i nostri dirigenti potrebbero ripartire da questo...

domenica 20 dicembre 2009

Grazie, perché mi avete restituito la forza di credere!

Amici volontari grazie! Grazie di cuore! Perché in questi due giorni mi avete ridato la forza di credere che un futuro migliore possa finalmente essere costruito. E saremo noi, tutti insieme, a gettarne le fondamenta!

martedì 15 dicembre 2009

Mi dispiace ma ormai non ci credo più

Berlusconi dopo il colpo al viso che lo ha fatto sanguinare
Ormai non credo più alla storiella della pace e del rispetto in politica. Ormai non credo più al fatto che in Italia si possa convivere democraticamente anche con idee opposte. Ormai non credo più che tra la classe dirigente al potere, critica politica e rispetto istituzionale possano coesistere e completarsi. Perché ormai sono in pochi, in troppo pochi quelli che si adoperano per difendere i valori basilari di democrazia, di libertà e di vita sociale su cui la nostra Repubblica si fonda. Perché il discorso resta sempre e solo uno: meglio urlare, meglio esasperare, piuttosto che parlare e discutere civilmente. Meglio trincerarsi dietro un triplice "vergogna!" o scambiarsi accuse di ogni genere. Meglio dare del "mafioso" e sentirsi rispondere "istigatore". Meglio alzarsi dai banchi del Parlamento non appena un nostro nemico prende la parola. Meglio nascondersi dietro un nickname e lasciare insulti sui blog o dare un nome fittizio a un gruppo su Facebook per ingannare ignari visitatori. Ma è davvero questo quello che la gente vuole? E' in questo clima teso da guerra civile che gli Italiani vogliono trascorrere i loro prossimi giorni? Di sicuro, la maggior parte dei nostri onorevoli preferisce quotidianamente imbracciare i fucili, indossare gli elmetti e gettarsi all'attacco degli avversari. Chi diavolo se ne importa di chi invece tenta di riportare la calma, la ragionevolezza e la riflessione nell'agone politico! Cosa può mai interessare a una ministra che espone il proprio progetto per soffocare le democratiche espressioni di contestazione dei richiami del Presidente della Repubblica? Ma d'altro canto, credo che non interessi nemmeno al leader di uno dei maggiori partiti di opposizione. E così chi chiede "maggiore serenità" nel valutare gli "avversari politici", finisce soffocato nel tritacarne delle urla e delle grida. O addirittura tacciato di essere uno dei mandanti morali dell'assalto a Berlusconi. Noi ci sforziamo di indicare la luna e tutti al seguito a guardare il dito. Meglio continuare ad abbaiare sempre più forte. Con violenza sempre maggiore. Forse perché è meglio così? No. Solo perché è molto più comodo.

venerdì 11 dicembre 2009

Solo fantapolitica, vero?

[...] In Sicilia il presidente Lombardo ha avviato un percorso politico interessante, a cui, da tempo, avevo invitato a guardare con attenzione. Ora nel Gruppo Misto sono in stretto contatto con gli otto parlamentari dell’Mpa. Sono convinto che, prima o poi, si consumerà la rottura con Berlusconi e dalla Sicilia uscirà un assetto diverso, con il quale i dirigenti dell’Udc siciliana (verso i quali spesso mi sono trovato in dissenso) dovranno fare duramente i conti [...].
Bruno Tabacci sul suo blog
Qualche tempo fa avevo scritto un post in cui raccontavo degli avvicinamenti tattici che Rutelli (dietro consiglio e spinta di Tabacci) sta avendo con il Mpa di Lombardo e il Pdl Sicilia di Micciché. Solo fandonie, futuristica fantapolitica mi si disse. E invece gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano dare ragione alla mia tesi. Se le cose andranno come devono andare, presto a Sala D'Ercole verrà presentato il Lombardo Ter, frutto della snaturata alleanza tra l'attuale governatore, il sottosegretario al CIPE di Micchichè e il Pd siciliano. Ma si potrebbe aggiungere anche un quarto attore: l'Alleanza per l'Italia di Rutelli che, dopo aver registrato l'adesione di Mario Bonomo, sarebbe sul punto di ingigantire il proprio gruppo con l'adesione di altri 10 parlamentari delusi, provenienti dal Pd, dal Pdl e qualcuno addirittura dall'Udc. Ma il vero obiettivo rutelliano sarebbe un altro: offrire ai due fustigatori del centrodestra l'adesione al suo nuovo partito, in cambio di alcune importanti garanzie a livello nazionale. In questo modo, Lombardo e Miccichè potrebbero essere garantiti e avrebbero una posizione di rilievo nelle trattative al momento della futura fusione con l'Udc siciliano. In fondo un governo che da una base di centrodestra (31 deputati) con l'appoggio esterno del centrosinistra del Pd (29 deputati) rischia di apparire come un autogol eccessivo. La musica suonerebbe diversamente se i 31 deputati si dichiarassero appartenenti a un movimento centrista che mira a costruire un'alternativa a Berlusconi partendo dalla Sicilia, da sempre laboratorio politico di grandi novità. Anche perché questa potrebbe veramente essere l'anteprima di Kadima in salsa italiana: non dobbiamo dimenticarci che all'interno del Pdl Sicilia ci sono numerosi finiani... A confronto il Milazzismo sembra una favoletta per bambini.

giovedì 10 dicembre 2009

La Destra oltre il Centro

Beppe Severgnini oggi dalle colonne di Sette definisce “improponibile” il progetto di una Destra delle regole, perché in Italia se si vuole essere de destra lo si deve essere alla maniera della Lega: muscolosi, battaglieri e intransigenti. E non moderati, aperti, riflessivi. Quindi Fini farebbe meglio a rivedere la sua posizione e a dare un assetto definitivo al proprio riposizionamento politico: perché dopo la sua svolta a “sinistra” (se così la si vuole definire) l'area del Pdl non è proprio più casa sua. Dura risposta da parte di Filippo Rossi che nel suo corsivo quotidiano su FareFuturo invita il giornalista del Corsera a indirizzare il proprio “pessimismo” altrove: “l'Italia merita di cambiare e diventare un paese normale”. Rossi cita anche lo storico Giovanni Tassani e immagina una destra “libertaria e non autoritaria, riformista e non conservatrice, democratica, non populista, non gerarchica, non totalitaria, non antimoderna, non patriottarda, non razzista e non classista”. Un bell’affresco, non c’è che dire. Ma non vi pare che questa Destra assuma dei caratteri che l’avvicinano di più a un’idea centrista della politica? Qualche tempo fa proprio sul Secolo d'Italia, Agostino Carrino, scriveva che se i grandi partiti vogliono tornare a vincere devono essere in grado di recuperare voti al Centro. Non quello partitico, però, ma quello ideale, punto di sintesi costruttiva tra le idee conservatrice e quelle progressiste: un elettore di Centro moderno è definibile come un “progressive conservative”, un conservatore progressista. Basta dare un’occhiata al panorama politico mondiale: in Europa tutte le Destre sono tornate a vincere solo dopo aver virato con decisione al Centro, in modo da poter competere in modo più diretto con i partiti riformisti e socialdemocratici. Già il grande filosofo cattolico Augusto Del Noce distingueva due modi di fare Centro: da una parte, il compromesso, la prassi che prende il posto dei principi e degli ideali, un partito senza filosofia e senza religione come punto d’incontro neutro generato dall’affievolirsi di due spiriti. Una aggregazione senza grandi passioni che promette un benessere tranquillo e persuade al sonno e che vive prevalentemente sull’inadeguatezza degli altri partiti. Insomma, la “palude” della Rivoluzione Francese. Dall’altra, il “Centro” inteso come luogo della restaurazione dei principi che non punta alla dissociazione di teoria e pratica, bensì all’apertura del nuovo orizzonte dell’eternità dei valori della persona per un nuovo umanesimo politico; che diventa nella visione di Del Noce addirittura una fedeltà creatrice. Certo, il Centro finiano sarebbe diverso da quello incarnato dall’Udc: sarebbe più laico, più liberale, più progressista. Ma sarebbe un’agente destinato ad interloquire con il progetto da noi portato avanti e diventerebbe parte integrante del sogno di una Kadima italiana. Anch’io, come molti, specie tra gli elettori cattolici, ho dei seri dubbi su come si possano far convivere le divergenze in materia etica: ma se oggi vogliamo costruire un partito nuovo davvero dobbiamo essere disposti a superare le differenze e a valorizzare le nostre visioni comuni. Il centrismo di oggi dunque si presenta in tempi e modalità diverse da quello che abbiamo conosciuto finora, ma ha una continuità di ispirazione ideale che fa sì che la componente storica del popolarismo e del cattolicesimo democratico possa confluire una prospettiva più ampia: parlare oggi, dunque, di centrismo significa confrontarsi con le grandi novità dell’integrazione europea, della globalizzazione e di una sintesi possibile tra economia sociale e mercato mondiale liberale. Servono molti passi in avanti per giungere a questo punto. Sia Fini che Casini ne hanno compiuti già una buona parte: con l’apporto di Rutelli e di esponenti della società civile come Montezemolo, forse si può riuscire a creare qualcosa che paradossalmente riesca ad andare addirittura oltre il “Centro” stesso, superando definitivamente le terribili e intoccabili categorie politiche del Novecento, come ha auspicato lo stesso presidente Casini in un’intervista sul Messaggero. Un passo del genere riuscirebbe a superare anche il malconcio e fallimentare bipolarismo bloccato e potrebbe donare all’Italia un partito di governo forte, duraturo, europeo, moderno. Il futuro del nostro Paese passa per una Destra capace di convergere al Centro. Non ci resta che aspettare.

mercoledì 9 dicembre 2009

Il posto dei cattolici

Siamo sempre più scomodi noi cattolici. In realtà lo siamo molto nei due grandi partiti dello schieramento politico italiano: nel Pdl siamo visti come utili e interessanti suppellettili, mentre nel Pd ormai c'è un diffuso senso di insofferenza nei nostri confronti. Fortuna che esiste l'Udc. O almeno così scrive stamattina Massimo Franco sul Corsera, e gli fanno eco tutte le tensioni di questi giorni: Dorina Bianchi è uscita dal Partito Democratico per aderire (o meglio tornare) nell'Unione di Centro e con ogni probabilità sarà seguita a ruota da molti altri scontenti, in primis il gruppo dei Teodem e l'ex rutelliano Renzo Lusetti, che potrebbero formalizzare il proprio passaggio già nei prossimi giorni. Enzo Carra, deputato teodem con una lunga storia nella Dc prima e nella Margherita poi, ha aperto, ad esempio, sul proprio blog una corrispondenza con il presidente della Costituente di Centro Savino Pezzotta, circa la necessità di ripensare la formula dell'impegno politico dei cattolici italiani: è giusto rimanere divisi tra tutti gli schieramenti o è meglio ritrovarsi in un grande partito di centro di ispirazione cristiana? L'idea del nostro presidente è chiara e sembra che anche Carra vi converga: "la nostra buona volontà è stata confusa con acquiescenza a una linea sempre più neolaicista". Anche sul versante del Centrodestra la situazione non è delle migliori: i cattoberluscones sono sempre più in sofferenza, specie a causa dell'affaire Boffo, rivelatosi tutto una montatura colossale, e per le continue sparate leghiste, ultima quella diretta al cardinale Tettamanzi. La reazione del mondo cattolico non si è fatta attendere: l'Avvenire (che con il nuovo direttore Tarquini ha assunto una linea più nettamente antiberlusconiana) ha parlato di "battaglia para-religiosa e di slogan indegni senza verità" e Gian Maria Vian si è detto preoccupato e ha ricordato che così "il messaggio cattolico è a rischio". Ma qual è, allora, il posto dei cattolici in politica? Con la fine della Democrazia Cristiana, il ruinismo era riuscito a trovare una risposta soddisfacente a quel momento di crisi, ma ora è sotto gli occhi di tutti che la strada della divisione ha portato solo alla debolezza e all'insignificanza dei cattolici. Ecco perché bisogna proporre una nuova formula per i cristiano democratici: non più dell'unità assoluta, ma neanche della frammentazione controproducente. Riproporre una formula, quindi, che si ricolleghi al progetto del primo Partito Popolare sturziano: serve un nuovo Appello ai liberi e forti. Non un partito cattolico, ma di cattolici, che riesca ad accogliere anche i laici più ragionevoli e che possa rappresentare al meglio le tendenze liberali e moderate del panorama politico cattolico. E' questa la vera sfida della pluralità e della molteplicità, non quella portata avanti dal Pd, di cui ci parla Franco Monaco su l'Unità di oggi. Forse lo era nelle intenzione, ma non certo nell'attuazione. Come si può parlare di posizione prevalente e libertà di coscienza e poi minacciare l'espulsione se qualcuno si permette di votare liberamente? D'altro canto è inutile continuare a tergiversare, quando la situazione è chiara agli occhi di tutti: non ci si può fare ingannare da alcuni specchietti per le allodole, scelti tra ex popolari come Rosy Bindi e Enrico Letta. Proprio Letta, devo dire la verità, mi ha molto deluso. Qualche giorno fa ho finito di leggere il suo ultimo libro, "Costruire una Cattedrale". Bello, molto bello, intenso, forte, realista. Una sola cosa non ho capito: ma me lo spiegate che senso ha scrivere centinaia di pagine sulla necessità di costruire un Centro forte che possa allearsi con una nuova Sinistra non a trazione dipietrista, perché l'elettorato è tripolare e non bipolare e poi accontentarsi di fare il secondo di Pier Lenin Bersani? Certo, ammetto che probabilmente una parte di responsabilità forse ce l'abbiamo anche noi dell'Udc, che non siamo riusciti a offrire una garanzia di futuro concreto al giovane Letta, ma ora che il nostro progetto si è dimostrato stabile e destinato a crescere ancora, spero che ci ripensi, visto che il nostro nuovo partito ha bisogno di gente e di intelligenze come lui. Anche perché mi sa che l'unica alternativa concreta al berlusconismo possa venire da noi e dal nostro progetto di ragionevolezza e coraggio. Perché come ripeteva il grande Alcide De Gasperi "solo se uniti saremo forti, solo se forti saremo liberi".

sabato 5 dicembre 2009

Il nostro posto nell'Italia con l'elmetto

Come sarebbe l'Italia di oggi vista da un altro pianeta? Cosa penserebbe un marziano se potesse vedere le sorti del nostro Paese legate alle dichiarazioni atomiche di un pentito o alla buona riuscita o meno di una manifestazione di piazza? Una terribile immagine. Basta prendere in mano il telecomando e dare un'occhiata ai vari salotti televisivi per rendersi conto di quanto siamo caduti in basso: ormai l'informazione si seleziona a seconda del partito votato, le trasmissioni fanno a gara per ingraziarsi il Capo (facendo outing vergognosi come quello della conduttrice Monica Setta su Rai2) o per denigrarlo più efficacemente possibile (vedi Santoro&C.). Alla faccia di chi vorrebbe avere un quadro della situazione chiaro e realistico. Ieri, tanto per fare un esempio, la trasmissione Ottoemezzo di Lilli Gruber si è risolta in un interminabile teatrino delle parti tra Daniele Capezzone, portavoce del Pdl e Gianfranco Mascia, uno dei promotori del No B-Day: sembravano a scuola, con la Gruber che sbatteva i piedi, furiosa perché messa da parte nel loro scambio di assurde ovvietà. Proprio il No Berlusconi Day tiene banco ormai da più di due settimane nell'agenda politica nostrana. Una manifestazione come tante altre, direte voi. Forse tra una settimana nemmeno ce la ricorderemo più. O forse no. Sicuramente non possiamo eluderla o glissarla così facilmente: dobbiamo porci delle domande serie. Sono due, principalmente, quelle che ritengo non possano essere tralasciate. Primo: perché una manifestazione di una tale portata è riuscita a nascere in modo così spontaneo? Secondo: può la democrazia riceverne un bene o un male? E' chiaro a tutti che se oltre 350 mila persone scelgono di sfilare in piazza grazie a un semplice passaparola telematico, è perché il nostro Paese vive un periodo di profondo malessere sociale, economico e politico. Non è solo antiberlusconismo, è qualcosa di molto più profondo. Peccato che poi ci siano sempre i Di Pietro e i veterocomunisti a rovinare tutto, facendo degenerare una manifestazione popolare nel solito raduno di sinistrorsi incontentabili, da cui rimangono inevitabilmente esclusi coloro che vogliono veramente cambiare le cose. Io stesso, che in un primo momento mi ero pronunciato favorevolmente, ho ritirato la mia adesione, dopo la notizia che la manifestazione era diventata cosa di Tonino. E così, purtroppo, nemmeno la democrazia ne riceverà un vantaggio. Ci saranno striscioni, urla, forse qualche incidente. Ma sarà talmente politicizzata, talmente settoriale, che finirà per rivolgersi a una sola parte del nostro Paese, con contorni ben definiti e precisi, e sarà così soltanto fine a se stessa. Ma in un’Italia spaccata tra berluscones e antiberlusconiani, pronta a imbracciare quotidianamente i fucili e a indossare gli elmetti, c'è ancora spazio per chi crede nel bene comune e nel bisogno di rifondare dalle fondamenta il nostro Paese? Sì, quello spazio c'è. Ma ha bisogno di essere ascoltato, di essere sfruttato (nel senso positivo del termine), di essere rafforzato. E oggi non c'è nessuno veramente disposto a farlo, se si eccettuano gli sforzi condotti avanti dall'Udc e dal nostro presidente Pierferdinando Casini. La formula di un'opposizione costruttiva che lavori per il bene del Paese è talmente rivoluzionaria e inusuale da far paura. Meglio gridare, urlare, abbaiare: è più comodo, più semplice. Ecco perché dobbiamo continuare sulla strada che abbiamo imboccato da tempo, quella del buonsenso e della ragionevolezza. Perché a decidere il bene della nostra Italia non saranno né le piazze, né le bombe atomiche dei pentiti. Saranno i volenterosi e i coraggiosi. Saremo noi.

venerdì 4 dicembre 2009

Le debolezze del Pdl

Ma cos'è veramente il Pdl? Se a molti potrà sembrare una domanda retorica, per me non lo è assolutamente. Perché è in questi ultimi giorni la situazione sta evolvendo in modo così radicale e drastico da costringere a porci domande più profonde di quelle solitamente elusive che ci siamo posti fin ora. Parto da una considerazione di merito ovvia e scontata: il Popolo delle libertà e il governo Berlusconi sono caratterizzati da un immobilismo evidente. Anche il dibattito e la vita interna al partito è tutta vissuta come uno scambio di accuse e di minacce reciproche. Quello che solo otto mesi fa sembrava destinato a diventare una delle pietre miliari della storia politica italiana ha finalmente mostrato la sua vera faccia: un mero e semplicistico allargamento di Forza Italia ai danni di Alleanza Nazionale e di tutto il Centrodestra. Ma non si dia dello stupido a Gianfranco Fini, attenzione. A mio avviso, infatti, sarà l'unico a trarre dei vantaggi concreti e spendibili da questo conglomerato di contraddizioni chiamato Pdl. Grazie al lavoro della fondazione FareFuturo e ai suoi personali strappi e fughe in avanti, adesso chi si ricorda più del Fini fascista e nostalgico, leader di un partito che nonostante tutto veniva pur sempre dall'alveolo culturale di Giorgio Almirante? Ormai Fini è il conservatore liberale, emblema di una destra moderna, difensore dei diritti civili e alfiere delle proposte di intengrazione degli immigrati, ultimo baluardo contro l'inarrestabile avanzata del leghismo xenofobo e intransigente. Berlusconi, invece, ha assunto i contorni del populista mediatico, dell'amico dei dittatori sanguinari e antidemocratici, del nemico della democrazia e della libertà di parola. Va senza dubbio riconosciuto che le uniche proposte capaci di ravvivare la vita interna del Pdl vengono proprio da Fini e dalla sua ala politica: è innegabile che il lavoro accademico di FareFuturo sia un beneficio anche per tutto il panorama politico italiano. Non nego di essere un estimatore del loro studio, anche se il mio conservatorismo cristiano mi impedisce di condividere alcune tra le loro proposte, specie in materia di diritti civili. In fondo cosa fa il versante berlusconiano? Da quando la fondazione Magna Carta e l'Occidentale hanno indossato l'elmetto, tutti i loro risultati si sono militarizzati, privandoli del loro fascino culturale e intelletuale. Ma ciò che mi amareggia più profondamente è la totale trasparenza e inconsistenza che i cattolici democratici, i popolari ex dc, hanno dentro il Pdl. Dove sono i vari Formigoni, i Pisanu, gli Alfano, i Rotondi, i Baccini o i Pionati? Non sono stati capaci nemmeno di costitursi in una misera fondazione, un semplice network! Sono stati solo arruolati in uno o nell'altro schieramento, perdendo il loro originario valore. Valgono di più e si comportano meglio i ministri di origine socialista (vedi il cattolaico Sacconi)! Ieri ha scritto con profonda lucidità Angelo Panebianco che presto potremmo conoscere in diretta un mega divorzio delle libertà: le due destre stanno per separarsi e per scegliere una nuova strada. Quella berlusconiana tenterà di consolidarsi, rafforzando il proprio rapporto con la Lega, mentre quella più moderata e riflessiva di Fini incrocerà con ogni probabilità il proprio cammino con il progetto neocentrista portato avanti da Casini e Rutelli. Sempre Kadima, eh?

mercoledì 2 dicembre 2009

Il nostro 2 dicembre

Sono già passati tre anni da quella splendida serata. Sono già passati tre anni da quando l'Udc comprese che era davvero giunto il momento di smettere di essere solo un'appendice del centrodestra e diventare veramente un partito di centro. Sono già passati tre anni. Eppure sembra solo ieri. Questi 1080 giorni trascorsi sono stati i più difficili, i più impegnativi e i più belli e importanti della nostra storia: quella sera, dal palco del Palasport di Palermo, Pierferdinando Casini disse chiaramente che il Centrodestra aveva fallito nella stessa misura in cui stava miseramente fallendo il Centrosinistra: "la Casa delle Libertà non ha più senso. Il suo ritualismo fa parte del passato e non di una prospettiva presente". Parole di una straordinaria attualità se si considera che ora le sentiamo sulla bocca del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che però quel 2 dicembre era a un'altra manifestazione, quella di piazza San Giovanni, la piazza dei parrucconi. Dicevo che questi sono stati tempi difficili, difficilissimi per il nostro partito: le elezioni politiche del 2008 sembravano dover essere l'inizio della fine per il nostro sogno di poter costruire una grande forza moderata, centrista, popolare e liberaldemocratica. Sembravamo essere destinati a essere stritolati dalla morsa bipartitica del Pd e del Pdl, i due grandi partiti di creta senz'anima. E invece, solo un'anno e mezzo dopo, cosa è successo? Dal Pd è uscito Francesco Rutelli, uno dei suoi padri fondatori, che con la sua Alleanza per l'Italia si appresta a confluire nel nostro progetto; Gianfranco Fini, altro cofondatore del Pdl, è su distanze sempre più nette dal suo stesso partito e presto, probabilmente, si unirà a noi e al nostro sogno di costruire una Kadima italiana che possa essere un elemento di normalizzazione politica e sociale, che archivi la ormai logora Seconda Repubblica e apra finalmente le porte alla Terza Repubblica. In tre anni, dal 2006 al 2009, abbiamo fatto più cose che in dodici, dal 1994 al 2006. Senza rendercene conto, anche lo stesso Dna del nostro partito è mutato profondamente: la base elettorale si è rinnovata e negli ultimi giorni sta crescendo esponenzialmente. Tutti i politologi migliori e i sondaggisti più affidabili sono concordi nell'affermare che l'area di centro (Udc+Api) viaggia stabilmente sopra il 10 per cento. Ma ora il tempo delle parole, degli avvicinamenti tattici, delle strategie a lungo termine è finito. Il nostro nuovo partito non deve ereditare il blocco del voto moderato da nessuno: se lo deve conquistare con i denti, fino all'ultimo residuo di percentuale. In questi 15 mesi abbiamo scelto, giustamente, di imboccare la strada rischiosa della coerenza e del coraggio: non buttiamo tutto in aria proprio adesso. Adesso tocca a Casini farci sognare di nuovo. Come ha già fatto durante quella meravigliosa notte.

lunedì 30 novembre 2009

Il triste destino dei giovani italiani

Bella la lettera strappalacrime e amara di Pierluigi Celli su la Repubblica di oggi: bella soprattutto per il triste realismo che la connota. Certo, peccato per l'autore che l'ha ideata, dati i suoi trascorsi non proprio limpidi e meritocratici (chi non li conoscesse legga pure questo articolo di FareFuturo). Ma al di là queste piccole sottigliezze, l'articolo di Celli ha il merito di aver riacceso il dibattito intorno al triste destino, privo di prospettive concrete di lavoro e di successo (se si esclude l'universo sempre più trash e volgare della TV), dei giovani italiani: oggi quale futuro può esserci per un neolaureato o per un ragazzo della mia età che sogna il proprio futuro, magari costellato da qualche piccola soddisfazione personale e dalla sicurezza di potersi fare una famiglia e poterla mantenere? Praticamente nessuna. E la politica e i politici non sembrano nemmeno porsi lontanamente il problema in questione: meglio continuare a parlare di processo breve e scorciatoie varie per far cadere il governo. Certo, meglio questo che dire grandissime stupidaggini come la "calzante e illuminante" definizioni di bamboccioni, gentilmente offertaci dal ministro Padoa Schioppa. E ha voglia Filippo Rossi di scongiurare i giovani a restare in Patria! L'orgoglio di cui il direttore di FareFuturo parla deve essere stuzzicato e supportato da proposte e fatti concreti, non da semplici e vacui slogan. Le stime economiche e sociali lo confermano: un giovane italiano ha molte possibilità in meno rispetto a un coetaneo europeo. E non prendiamo nemmeno in considerazione il rapporto ragazzo del Sud-ragazzo europeo: sarebbe anche troppo indegno e mortificante! Ma allora cosa si può fare concretamente? Credo che nello specifico servano delle proposte per cambiare radicalmente lo stato delle cose, partendo proprio dal basso. Di seguito vi elenco le idee che a mio parere sono indispensabili per garantire (o almeno provare a farlo) un futuro a noi giovani in Patria. Primo fra tutti: garantire il diritto allo studio per tutti con anesso riordino generale delle materie scolastiche insegnate negli istituti superiori e delle facoltà universitarie, con rigore e razionalità. Secondo: offrire un presente più informatico, con l'assicurazione del diritto all'uso della banda larga su tutto il territorio italiano, potenziando i collegamenti wireless e quelli wi-fi. Terzo e più importante: cultura gratis e a volontà per tutti. Smettiamola di istruire attraverso uno schermo catodico capace di trasmettere solo colorite espressioni, risse, storie di trans e reality vari! Riapriamo i teatri, le biblioteche, i centri di conferenze e rendiamoli giovani! Cerchiamo di imitare l'Europa almeno su questo. Ma la timida politica in mano ai poteri forti sarà capace di capirlo?

sabato 28 novembre 2009

Anche Lombardo e Micciché con Rutelli?

Oggi voglio proporvi alcune riflessioni intorno ai numeri parlamentari e alla consistenza effettiva che un gruppo centrista (Udc e Api) potrebbe avere alla Camera e al Senato. Partendo dal ramo basso del parlamento (al Senato la situazione è incerta, ma è ovvio che si tratterebbe solo di una formalità qualora si dovesse concretizzare quello che sto per elencare) ci accorgiamo subito che l'Udc conta 36 deputati, mentre il misto è arrivato a quota 31 deputati: di questi 8 fanno parte del Movimento per l'Autonomia di Lombardo, 8 aderiscono già ad Alleanza per l'Italia, mentre altri 3 sono iscritti al gruppo "Repubblicani e Popolari", formato da Nucara, La Malfa e Baccini, altri 3 formano il gruppo "Liberaldemocratici" (Melchiorre, Tanoni e Merlo), altri 3 al gruppo "Minoranze linguistiche" e i restanti 6 non sono iscritti ad alcuna componente. Sappiamo tutti che Rutelli ambisce a formare un gruppo parlamentare autonomo e che in questi giorni sta pescando proprio dal gruppo misto: deve trovare almeno altri 12 deputati per coronare il suo obiettivo. Considerando già dei suoi i due repubblicani e il liberale Guzzanti, al suo progetto sarebbero in procinto di aderire anche i 3 liberaldemocratici. Ma sarebbero ugualmente insufficienti, perché la somma totale sarebbe pari a 14 deputati. E' per questo che Francesco Rutelli, su consiglio e pressione di Bruno Tabacci, starebbe lavorando ad un'inclusione del proprio progetto del MPA di Raffaele Lombardo. I suoi 8 deputati sono preziosissimi in questo momento, senza contare che con la sua adesione si romperebbe l'attuale maggioranza di CDX e perché dopo, a valanga, tutti gli altri deputati del misto liberi aderirebbero ad Alleanza per l'Italia. Risultato: 28 deputati, che sommati ai 36 dell'Udc fanno ben 64. Senza contare che dentro potrebbero confluire anche oltre metà del gruppo più moderato dell'Italia dei Valori e i tanto attesi e corteggiati Popolari Pd di Marini e Fioroni, sempre più a disagio nel Pd di Bersani. A occhio e croce, oltre 100 deputati: contro ogni rosea previsione. Anche se un gruppo del genere dovrebbe essere pronto a sanare diverse divergenze interne, prime fra tutte i rapporti tesissimi tra Lombardo e l'Udc siciliano. A quanto pare, il gruppo dirigente isolano dello scudocrociato non la prenderebbe affatto bene (specialmente in un'ottica di rassemblament con Rutelli), ma Casini ha invitato alla calma i propri colonnelli: "ricordatevi che lavoriamo per disgregare i Poli". E quella disgregazione potrebbe avvenire solo mettendo una pietra sopra i rapporti travagliati con il Presidente della Regione Sicilia. Ma non sarebbe finita qui. A ruota di Lombardo, infatti, con l'ex leder della Margherita sarebbe pronto a passare anche niente poco di meno che Gianfranco Micchiché, sottosegretario al CIPE in rotta da tempo con il premier Berlusconi e con i lealisti siciliani di Alfano e Schifani. E questo sarebbe difficile da digerire anche più rispetto a Lombardo. Ma cosa non si sarebbe disposti a fare per creare un gruppo che potrebbe contare su 110 deputati e 60 senatori?

venerdì 27 novembre 2009

Tear down this wall!

Di seguito l'editoriale che ho scritto per il giornale scolastico
del Liceo Classico Gorgia "Omega"

Chi lo avrebbe mai detto che quella notte il Muro sarebbe caduto davvero? Chi lo avrebbe mai detto che il simbolo più evidente e tragico della Guerra Fredda, alla fine, si sarebbe sbriciolato come un castello di carte? E chi sarebbe mai stato pronto a giurare che dopo la notte del 9 novembre 1989 tutto in Europa sarebbe andato incontro a un’inesorabile e irreversibile trasformazione? Il Berliner Mauer era prima di tutto una certezza: quella, cioè, che Occidente democratico e Est comunista non si sarebbero mai potuti mettere d’accordo e che finché uno dei due non sarebbe riuscito a prevalere sull’altro, Berlino sarebbe stata condannata a rimanere spaccata in due. Di là i rossi, di qua i moderati. Senza possibili vie di mezzo. Guai ad immaginare il confronto e lo scambio libero tra le due parti: sarebbe equivalso a una sconfitta dell’ultima parte (autorizzata però dagli altisonanti, vacui, indefiniti e burocratici accordi di pace) di autoritarismo antiliberale nel cuore dell’Europa. Per quasi trent’anni nessuno sembrò essere in grado di rovesciare quell’assurdo e sconcertante dato di fatto: il timore di una terza guerra mondiale, a base di bombe nucleari, era troppo forte anche per i più solidi paladini della libertà. Tutto sembrava perduto, fino a quando due grandi presidenti americani, JFK e Ronald Reagan, non ebbero il coraggio e la forza di sfidare quella paura. E ne ebbero ragione: l’entusiasmo che le loro parole infusero nell’impaurita e opaca Mitteleurope fu tale da garantire una rinascita intellettuale, culturale e morale che qualche anno dopo porterà al crollo del Muro e al tracollo dell’utopia comunista. Alzi la mano chi non ha mai sentito le straordinarie e meravigliose frasi di entrambi: “Ich bin ein Berliner!” e “Tear down this wall!”. Rappresentano due modi diversi di trovare una soluzione al problema (probabilmente influenzata dalla diversa concezione politica) ma allo stesso modo efficaci e potenti. Se davvero qualcuno non le ha mai sentite vada su Youtube e le ascolti, tutte e due, una dopo l’altra: sentirà l’entusiasmo e l’euforia incontenibile di un popolo rinato a vita nuova, che armato di picconi, martelli o solo con le semplici mani, è riuscito a trasformare una comune, fredda e gelida notte di novembre nell’inizio di una nuova era. Ma ora, dopo 20 anni, che effetto fa a dei ragazzi che non hanno mai conosciuto il Muro vedere quei momenti e quelle foto? Cosa sente, quindi, un giovane della “post generation” di fronte al suo ricordo? Noia? Entusiasmo? Indifferenza? Tutte queste cose insieme? Abbiamo provato anche noi a dare una risposta a questa domanda, chiedendo ai diretti interessati. E abbiamo avuto risultati molto, molto interessanti. Su un campione di 100 intervistati, infatti, ben 73 persone sapevano che quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dalla caduta, mentre solo il 20 per cento ricordava che il Muro cadde durante il mese Novembre. La maggior parte di loro, invece, ha detto di considerare la caduta del Muro un importante avvenimento per la storia dell’Europa, mentre solo una minima parte la considera un evento ininfluente per il Vecchio Continente. Novanta intervistati su cento hanno assicurato di aver visto almeno una volta nella vita una foto di quella magica notte e il 70 per cento degli intervistati ha scelto l’aggettivo “entusiasmante” per definirla, mentre il 20 per cento ha scelto “bella” e solo il 10 l’ha definita “inutile”. Questa piccola carrellata di dati ci spinge a fare qualche riflessione più profonda per confrontarci seriamente con l’eredità pesante di quella notte. Qualche giorno fa i presidenti delle varie nazioni europee hanno scelto, a seguito della ratifica del trattato di Lisbona, i nuovi responsabili delle politiche comunitarie, a cui spetta l’arduo compito di ridare smalto e slancio al progetto di una grande Europa, che possa competere a viso aperto con le altre potenze mondiali, USA e Cina. Le nomine sono state precedute da un lungo tira e molla intorno ai nomi di vari papabili, primi fra tutti Aznar e Blair. Alla fine la scelta è ricaduta sul premier belga Herman Van Rompuy. Non mi esprimo sul merito della nomina, che considero non all’altezza degli obiettivi che ci eravamo prefissati. Tuttavia c’è una nota positiva in tutto ciò: se l’Europa spesso non avanza, è perché il Consiglio non riesce a trovare un accordo sulle proposte della Commissione. Herman Van Rompuy sembra proprio avere la capacità di creare consenso. Nicolas Sarkozy, il presidente della repubblica francese, ha sottolineato che «questo fiammingo è un uomo che nel suo passato non ha fatto che mettere d’accordo le persone intorno a lui». E non su soluzioni minimalistiche: da ministro del bilancio del Belgio, ad esempio, prima di diventarne primo ministro, ha condotto con successo una difficile operazione di risanamento della finanza pubblica. Questo fa ben quindi ben sperare: oggi c’è bisogno di costruire un’Europa forte, unita, capace di valorizzare e non di schiacciare le peculiarità e le caratteristiche di ogni popolo. È questa la grande lezione di democrazia che la caduta del Berliner Mauer ci ha lasciato in eredità, che noi giovani per primi abbiamo l’obbligo di onorare e seguire. Ne saremo capaci? Sono sicuro di sì. Anche se davanti a noi ci sono ancora alti muri da scalare e da abbattere. Ecco perché oggi dobbiamo essere pronti a dire ancora una volta: “Tear down this wall!”.

giovedì 26 novembre 2009

Si accomodi pure...

Lo avevamo già detto: una poltrona da governatore regionale è quella che chiederebbe il sottosegretario Guido Bertolaso al suo amico Gianni Letta. Una volta abbandonata la guida della Protezione civile, come lo stesso Bertolaso ha annunciato di fare, gli piacerebbe mettersi al timone di una regione come il Lazio. Ma questa scelta potrebbe provocare una reazione a catena di poltrone. Per la successione alla Protezione civile è stato indicato il prefetto Gianni De Gennaro, attuale direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che si occupa del coordinamento delle varie attività dei servizi. Al suo posto vuole andare Franco Ionta, l'ex pm di Roma attualmente a capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Al Dap andrebbe Settembrino Nebbioso, capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. E il posto di Nebbioso potrebbe essere preso dal magistrato Luigi Birritteri, già in via Arenula, che nel 2003 è stato candidato per la presidenza della Provincia regionale di Agrigento sostenuto da Ds, Udeur, Sdi, Rifondazione comunista, Verdi, Margherita e Comunisti italiani. Se qualcun'altro vuole accomodarsi, faccia pure...

mercoledì 25 novembre 2009

Perché Kadima non può attendere

Peppino Caldarola sul Riformista di ieri ha lanciato un accorato appello a Fini, Casini e Rutelli: "Possono avviare una svolta. Non gli chiediamo molto. Facciano una piccola Kadima. Può bastare". Conciso, rapido, eloquente. Più chiaro di così? L'editorialista del foglio esprime chiaramente che il nostro paese sta attraversando un periodo di immobilismo e di difficoltà profonda: le contrapposizioni tra Berlusconi e la Giustizia stanno mettendo a serio rischio il sistema paese e non si può lasciare il pallino della situazione nelle loro mani. Oggi più che mai c'è bisogno di qualcosa capace di rompere gli schemi e di andare oltre, unendo (scusate la retorica) uomini diverse con culture e storie diverse. Lo auspichiamo da tempo, da molto tempo e forse ora ne abbiamo finalmente avuto ragione: ieri alla presentazione del libro di Bruno Vespa i due leader centristi, Casini e Rutelli, hanno ufficializzato le loro nozze. E sono subito scoppiati i retroscena politici: quanto valgono in percentuale i due? In nostro soccorso giungono numerosi sondaggi, i migliori pubblicati su SpinCon e su Il Liberale, che accreditano il nuovo duetto stabilmente sopra il 10 per cento e con una forza di attrazione che potrebbe arrivare anche al 15 per cento: a completare il quadro servirebbe l'ala finiana del Pdl che avrebbe una forza quantificabile intorno al 5-6 per cento, secondo Luigi Crespi. Naturalmente un nuovo partito non si crea con i sondaggi e tutti questi dati andrebbero letti alla luce del fatto che un terzo polo moderato che parte dal 20 per cento potrebbe con estrema facilità raggiungere vette molto più alte. Alessandro Campi, sul Riformista di oggi, esprime però dei forti dubbi al riguardo: ma non si preoccupi! Il nuovo partito non sarà solo un rifugio di delusi e non sarà unito solo da un malessere comune. Il collante del partito sarà ben altro, molto più forte e resistente: perché sarà questa la vera, grande rivoluzione del quadro politico italiano. Un partito di Centro che mira non a fare da stampella a una o all'altra coalizione, ma a diventare il perno su cui costruire una nuova alleanza per il bene comune. Contro ogni populismo, estremismo o demagogia di sorta. Ecco perché Kadima non può più attendere.

domenica 22 novembre 2009

Elogio di Angela Buttiglione

Angela Buttiglione, sorella di Rocco, è una grande professionista e una gran bella persona. Di lei sapevo ben poco, fino a quando ho scoperto che è stata costretta a mettersi da parte per far posto a logiche partitiche, maggioritarie e dialettali (chi capisce capisce). E allora mi sono documentato a fondo su di lei. Che peccato, che grande peccato! Ma anche nell'essere messa alla porta, ha dimostrato una grandissima professionalità, oltre che una straordinaria dignità: si è dimessa, con ben due anni di anticipo sulla pensione. Lo ha fatto perché non voleva mendicare nessun posto, nessuna poltroncina a nessuno per continuare e così, molto semplicemente, si è fatta da parte. E il riconoscentissimo mondo giornalistico italiano non si è nemmeno degnato di salutarla come meritava. Tranne qualche rarissima eccezione: finora ne ho contata solo una, che vi consiglio caldamente di leggere, perché tratteggia benissimo il grande valore di Angela Buttiglione. Peccato che qualcuno non sia dello stesso parere...

mercoledì 18 novembre 2009

Ma per Gheddaffi non si indigna nessuno?

Quando la Corte Europea dei Diritti (!) dell'Uomo di Strasburgo ha emanato quella sentenza vergognosa sul Crocifisso, lesiva delle nostre radici e tradizioni, tutto il mondo politico italiano è giustamente insorto. Io sono stato tra i primi a sottoscrivere il ricorso del Governo, un atto che ritengo giusto e dignitoso. Ma ora, come non l'ho fatto allora, non posso rimanere zitto difronte alle porcherie targate Gheddaffi. Il dittatore libico, accolto con tutti gli onori a Roma dal nostro Presidente del Consiglio, si è infatti permesso di sindacare sulla credibilità della nostra religione, sostenendo che sulla Croce a morire non sia stato Cristo. Questo è veramente inaccettabile! Ha ragione Pierluigi Battista a chiedersi come mai tutti stiano in religioso silenzio ad ascoltare le "lezioni" di un dittatore! E le ragazze riservate come regalo di benvenuto, quelle dove le mettiamo? Per non parlare poi delle stupidaggini in materia di voto e democrazia che ogni volta ci rifila come se fossero preziosissime lectio-magistralis! Perché nessuno si indigna, perché nessuno protesta violentemente? Preservare "gli eccellenti rapporti bilaterali" con la Libia significa dover svendere se stessi e la propria dignità nazionale? Che il nostro presidente accolga con più onori un sanguinario repressore dei minimi diritti democratici umani, invece di leader europei e mondiali come la Merkel, Sarkozy o Obama, questo è risaputo. Ma una cosa è certa: quando il Premier abbraccia Gheddaffi e lo chiama amico, non lo fa nel mio nome e (sono certo) di milioni e milioni di italiani. Non lo faceva nemmeno quando ha regalato 5 miliardi di euro alla Libia, in cambio della ridicola promessa di non fare più partire barconi carichi di immigrati e di diventare il partner privilegiato libico per la costruzione delle future infrastrutture. Infatti, è andato tutto nel verso contrario: gli immigrati partono ancora e o muoiono per mare o vengono respinti in Patria a morire in moderni campi di concentramento e l'azienda che costruirà l'autostrada Libia-Egitto, col cavolo che sarà italiana: il grande amico Muammar si è scelta come partner un'azienda francese. E beh, che importa? La cosa veramente importante è selezionare 200 bellissime italiche taglia 42 per ascoltare interessantissime lezioni religiose...

lunedì 16 novembre 2009

Ma quanto valeva il Lodo?

Dentro il Pdl esplode lo scontro Fini-Berlusconi: giustizia e politica interna sono state solo le micce che hanno fatto esplodere una polveriera già da tempo destinata a scoppiare. Le due Destre di cui si è tanto scritto e parlato, sono ormai giunte ai ferri corti: a Fini non va giù il fatto di essere il bersaglio dei continui attacchi del Giornale e Berlusconi invece proprio non sopporta di allevare una serpe in seno. E le sterili e prolungate diatribe interne si riflettono in una sostanziale e effettiva immobilità governativa, un vero e proprio malgoverno come fa notare Roberto Penna dal suo blog. L'unico tema capace di tenere banco è la giustizia ad personam: ma può una maggioranza dilaniarsi profondamente solo per trovare la via più elegante e invisibile per liberare il proprio padrone dalla morsa e dalla presa dei giudici? Ma vi pare possibile che quelli che dovrebbero essere alleati, si trattino invece a pesci in faccia? Fa proprio sorridere l'idea poi che per isolare il cofondatore del proprio partito, si chieda aiuto alle opposizioni. Ma in quale Italia viviamo? In questo clima di confusione totale (casi Sicilia e Campania compresi) è naturale che le uniche proposte capaci di farci tornare a questioni di politica vera vengano dalla nostra parte. Come quella fatta da Pierferdinando Casini sull'introduzione di un Lodo per le cariche più alte della Repubblica tramite legge costituzionale. Sia chiaro: personalmente non sono contrario a priori a uno Scudo, ma non in questo caso. Anche perché rende perfettamente a quale livello sia caduta in basso la maggioranza per applaudire così a una così chiara e palese provocazione. Tutti i dissidi, manifesti e non, sono solo un pretesto. Il vero scopo è un altro: raggiungere in tempi brevi le elezioni anticipate e contare in quel momento chi è pronto a sostenerlo e chi no in un nuovo, fallimentare, Predellino 2. Ma sinceramente, quanto vale un Lodo, invece di tanta noncuranza e vigliaccheria?

mercoledì 11 novembre 2009

La Verità

Simone Bressan è un grande. Per me è uno di quei ragazzi che meritano molto, che si impegnano profondamente nella vita sociale e politica e che per questo devono essere presi a modello. Peccato che, nonostante la comune appartenenza alla galassia conservatrice, ci ritroviamo in due partiti opposti. E spesso questa divergenza di appartenenza ci costringe a piegare a nostro favore la verità. Anch'io tante volte sono caduto in questo tranello (il mio moderatismo antiberlusconiano è conosciuto) e capita quindi che chi legga non si facci un'idea completa e obiettiva. Se quindi io sono un antiberlusconiano, Simone (mi perdoni se non è così) può essere definito un "anticasiniano". Su questa scia, infatti, si colloca anche il suo ultimo post: "Aiutatemi". Il titolo è preoccupante: cosa sarà mai successo? Per capirlo basta leggere le prime righe. Simone infatti è seriamente confuso dai movimenti che in questi giorni si stanno verificando al Centro e, credetemi, in una certa misura lo capisco. E' stato tutto troppo rapido, troppo confuso, ma profondamente eccitante e emozionate. Dopo mesi di tira e molla e di "esco dal Pd" "no, resto", finalmente qualcosa si è mosso: l'uscita di Rutelli è stata la miccia che ha fatto esplodere la polveriera e le forze che si sono messe in movimento sono peggio degli elettroni intorno al nucleo di un atomo. Simone però mi pare poco convinto della consistenza di questo progetto. Scrive infatti: "Io non c’ho capito una beata mazza. E ho già nostalgia del nostro imperfetto e muscolare bipolarismo." E allora, con tanta umiltà e buona volontà, provo io a spiegare come stanno le cose. Intanto partiamo da un presupposto fondamentale: la politica è in continua evoluzione (panta rei direbbe il buon vecchio Eraclito) e in questo campo l'ultima parola è sempre la penultima. Converrai con me, Simone, che le contraddizioni poi sono pane quotidiano per i politici. Non solo quelli centristi. Nella compagine governativa che ti rappresenta direi che ce ne sono molte. Dobbiamo forse ricordare che il Presidente della Camera Gianfranco Fini bollò il Pdl come "comiche finali" salvo poi sciogliere An e entrarvi una volta capito come tirava il vento? O quella straordinaria di Bossi che nel 96 disse che "Berlusconi è un mafioso e che Cosa Nostra era nata da Fininvest"? Non continuo solo perché non voglio che questo sia l'ennesimo post contro Qualcuno e sia invece il punto di inizio di un confronto positivo e costruttivo. Allora, dicevamo dei movimenti centristi. Dunque, sono del parere che per comprenderli al meglio serva un'analisi attenta e profonda: Rutelli, all'indomani della vittoria di Bersani, è uscito dal Pd. Oggi ha annunciato la fondazione di un nuovo MOVIMENTO (e non un partito): "Alleanza per l'Italia". Hanno aderito Lorenzo Dellai, Massimo Calearo, Linda Lanzillotta, Gianni Vernetti dal Pd; Bruno Tabacci dall'Udc; Pino Pisicchio, Aurelio Misiti e Giuseppe Astore dall'Idv; e alcuni liberali e repubblicani da forze minori. Il nuovo Centro non nasce per escludere, ma per includere. E se lo si fa "appassionatamente" meglio ancora! Casini e Rutelli non sono in contrapposizione: lavorano entrambi per lo stesso proposito. In fondo, non è così per qualsiasi partito? Con una differenza però: noi non metteremo insieme tutto il contrario di tutto e soprattutto non abbiamo intenzione di tornare al passato. Al contrario: chi è che vuole necessariamente che il sistema politico non cambi sono altri. La paura che il bipolarismo crolli per dare vita a un nuovo sistema preoccupa noi o voi? La risposta mi pare evidente. Come evidente mi pare che la Verità non è propriamente quella che hai descritto tu, mio caro Simone.

martedì 10 novembre 2009

Ora anche Di Pietro ha le sue 10 domande

L'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro è in pezzi: scontri intestini tra fazioni avverse, minacce di scissioni e fuoriuscite di deputati. Non manca niente nella nuova telenovela (rigorosamente sgrammaticata) "Casa Di Pietro". Dopo l'improvvisa fortuna e il balzo in percentuale dovuto all'incapacità politica del PD di arginare la perdita dei consensi, Di Pietro adesso è nei guai sino al collo: Luigi De Magistris, infatti, guest star delle elezioni europee e novello "fratello siamese" dell'ex pm, sta costruendo una fronda movimentalista e giustizialista all'ennesima potenza da opporre al germe moderato e liberaldemocratico che un tempo formava il nucleo del partito. Non bastavano i deputati ex dc come Pino Pisicchio hanno già abbandonato il partito, confluendo nella nuova forza rutelliana, ora ci si mette anche la base e gli amici: ieri ha ricevuto anche lui le sue belle dieci domande da parte di MicroMega, redatte da personaggi del calibro di Salvatore Borsellino e Andrea Scanzi. Sono tutte molto interessanti, soprattutto per comprendere al meglio i movimenti di questi giorni. Da parte di Borsellino ci sono soprattutto domande relative alla vita interna del partito, con la richiesta dell'introduzione delle primarie per la scelta democratica del leader, e alcune sottolineature riguardo le contraddizioni circa i requisiti di ricandibilità. Scanzi, giornalista de La Stampa, invece, pone l'accento sulla questione principale: ma quanto durerà l'Idv? Riuscirà a sopravvivere al dopo Berlusconi o sarà risucchiata nel post vortice? E Sonia Alfano o Gianni Vattimo, si chiede il giornalista, erano solo specchietti per le allodole? Caro Onorevole, aspettiamo le sue risposte.

    Le domande di Salvatore Borsellino

    1) Di Pietro ha detto in una intervista che nelle liste di IDV non c’è un solo caso di incandidabilità, di immoralità e che tutti gli eletti e i candidati hanno il certificato penale al seguito, precisando che si intende per “immoralità” l’essere condannato con sentenza definitiva. Si rende conto l’Idv che, secondo questa lettura, un personaggio come Marcello Dell’Utri, non ancora condannato in via definitiva, sarebbe da ritenersi candidabile?

    2) Nella stessa intervista Di Pietro ha affermato che Orazio Schiavone non è “neanche più condannato” perché il suo reato, secondo la “normativa successiva non è più neanche reato”. Lei ritiene che l’Idv possa candidare persone che hanno commesso reati che tuttavia, grazie alle depenalizzazioni del governo Berlusconi – ad esempio il falso in bilancio – “non sono più neanche reati”? Per quanto riguarda Porfidia, Di Pietro dice che non è vero che è indagato per il 426 bis, ma per un “banalissimo abuso d’ufficio” di quando era sindaco. Non pensa che la base di IDV, soprattutto i giovani, vogliano essere rappresentati da persone che non abbiano commesso neanche dei “banalissimi abusi”?

    3) Di Pietro ha affermato che su 2500 eletti nell’IDV ci sono appena 32 persone che provengono da esperienze politiche precedenti. La cifra sembra molto bassa, ma se anche fosse, non pensa che sia un problema che queste persone abbiano in parecchi casi una storia caratterizzata da disinvolti salti da uno schieramento all’altro che dimostrano, se non altro, una spiccata tendenza all’opportunismo e al trasformismo?

    4) Nel raduno di Vasto sono intervenuto dicendo che per la prima volta avevo accettato di partecipare ad un raduno nazionale di un partito perché in quel partito mi sentivo a casa mia e con me si sentivano “a casa” i tanti giovani che si riconoscono nel movimento delle “Agende Rosse”. Dissi anche che mi sarei sentito a casa mia fino a quando anche quei giovani si fossero sentiti a casa loro. Possiamo sperare, sia io che questi giovani, che il processo in atto per fare veramente diventare IDV il partito della Giustizia, della Legalità, della Società Civile prosegua ed arrivi a compimento in maniera da farci sentire “definitivamente” a casa nostra?

    5) Non pensa che sarebbe necessario dare una ulteriore spinta alla democratizzazione interna arrivando a pensare ad un segretario eletto dalla base attraverso delle primarie? Negli incontri che faccio in tutte le regioni d’Italia, per la maggior parte organizzati da giovani, raccolgo un diffuso senso di disagio: molti sono entrati con entusiasmo in IDV ma oggi si sentono scoraggiati perchè non hanno la possibilità, a causa degli ostacoli posti dai dirigenti locali del partito, di tradurre in attività concreta la loro adesione. Non crede che questa situazione possa portare questi giovani ad un passo indietro rispetto alla loro militanza in IDV, e a frenare l’ingresso di tanti altri giovani che potrebbero essere una iniezione di forze nuove, attive e spesso entusiaste?

    Le domande di Andrea Scanzi

    6) L’Italia dei Valori è diventato il privilegiato approdo di molti delusi da sinistra, più per demeriti altrui che per meriti propri. E’ un partito che usufruisce di voti fluttuanti, radicalizzati ma non radicati. Un voto “in assenza di”: non un’adesione pienamente convinta. Quando scatterà – se scatterà – l’appartenenza?

    7) L’immagine attuale dell’Italia dei Valori è quella di un partito in cui le personalità maggiori coincidono con Di Pietro e De Magistris: due ex magistrati. E’ normale o piuttosto il segnale che il “giustizialismo” può diventare un assillo, quasi una devianza patologica?

    8) La questione morale è centrale nell’Italia dei Valori. L’inchiesta di MicroMega sembra però avere infastidito la nomenklatura. Per chi fa politica come l’Idv, sempre sull’orlo del populismo, è costante il rischio che a furia di fare i Robespierre prima o poi spunti un Saint-Just a rubarti scena (e testa). Non è per questo particolarmente sbagliato minimizzare i problemi interni (per quanto inferiori alla media)? Non avvertite l’esigenza di dimostrare che le Sonia Alfano e i Gianni Vattimo non erano specchietti per le allodole?

    9) Il momento più basso dell’Idv è stato il voto contrario alla Commissione d’Inchiesta sulle mattanze a Bolzaneto e Scuola Diaz, quando il vostro partito era al governo. E’ di queste settimane il calvario di Stefano Cucchi. L’impostazione “poliziottesca” dei quadri dirigenziali dell’Idv (emblematico il caso Giovanni Palladini) può portare a una sottovalutazione di vicende analoghe? La vostra attenzione alla legalità contempla anche il garantismo e il coraggio di non reputare intoccabili magistrati e forze dell’ordine?

    10) L’Italia dei Valori prospera per la risibile debolezza del Pd e perché il bipolarismo italiano è drammaticamente atipico: non centrosinistra e centrodestra, ma berlusconiani e antiberlusconiani. Questa radicalizzazione avvantaggia un partito di lotta come l’Idv: di lotta, ma non di governo. Cosa farà l’Italia dei Valori quando Berlusconi non ci sarà più? Non è un partito che, paradossalmente, per prosperare ha bisogno anzitutto del Nemico?

lunedì 9 novembre 2009

La strategia di Tabacci

Bruno Tabacci, già leader della Rosa Bianca, ha lasciato l'Unione di Centro per aderire al gruppo misto in vista della concretizzazione del progetto centrista di Francesco Rutelli. Il mio primo giudizio è negativo: Tabacci ha sempre lavorato per potenziare il Centro e il progetto della Costituente. Allora che senso ha abbandonare tutto quello a cui ha lavorato finora e partecipare alla costituzione di un altro partito, per altro ancora in aria come quello di Rutelli? Mi dispiace soprattutto per le parole dure e ingrate che ha usato riferendosi a Casini e all'apparato dirigente e per l'intempestività della sua scelta: ben ha detto Savino Pezzotta che non seguirà Tabacci e resterà nel gruppo Udc. In questo momento di grande concitazione è inutile dividersi! Meglio unirsi e incontrarsi fin da subito. La credibilità del nostro progetto non è in discussione, come testimonia questo articolo sul Foglio: Casini sembrava destinato all'irrilevanza e invece viene corteggiato in questi giorni sia da Berlusconi che da Bersani. E' necessaria allora un'analisi più attenta delle mosse di Tabacci. Il deputato centrista, infatti, è sempre stato uno degli ideologi dell'allargamento dell'area centrista, anche a personaggi con passati diversi e culture un tempo antitetiche. Anche quando aveva dato vita alla Rosa per l'Italia il suo progetto era questo: la contingenza delle elezioni lo aveva costretto a stringere un'alleanza stabile con l'Udc. Adesso ci riprova: nel gruppo misto coagulerà deputati come Giuseppe Giulietti, i liberaldemocratici ex diniani e gli ex dipietristi. Tutti da portare in dote a Rutelli. Questa è la sua strategia. Domandina però: che bisogno c'era di andarsene? L'arrivo deve o non deve essere unico?

Discorso Palermo 8-11-2009

Di seguito il discorso che il nostro coordinatore uscente, Giuseppe Portonera, ha tenuto ieri all'assemblea regionale dei Giovani Udc siciliani.

Cari amici, grazie per avermi dato l’occasione di prendere la parola all’interno di questa splendida giornata. Oggi da tutta la Sicilia i vari gruppi cittadini e provinciali dei Giovani Udc si sono dati appuntamento per decidere del proprio futuro: un futuro ancora tutto da scrivere e in continua evoluzione ogni giorno che passa. Una sfida aperta che tutti noi abbiamo accolto con coraggio e umiltà, per completare un progetto innovativo e straordinario di cui da molto tempo si sente il bisogno. Ho cominciato a fare politica attiva all’interno dell’Udc da circa un anno e mezzo. Da allora ho sempre aspettato con ansia il decollo del progetto della Costituente di Centro, che sfociasse nella nascita di un nuovo partito moderato composto non solo da democristiani, ma che riuscisse a sintetizzare culture simili e a unire uomini con storie diverse. Proprio in questi giorni sembra che quel progetto abbia preso finalmente quota: dopo l’addio di Rutelli, Dellai e Calearo al Pd e lo spostamento a sinistra di questo partito, si sono liberate nuove energie dinamiche che dobbiamo essere pronti a intercettare e a sfruttare. Ma per farlo tutti noi dobbiamo essere pronti a metterci in gioco e essere disposti a fare non uno, ma due passi indietro se questo servirà a farne tre avanti. La bellissima frase di Don Luigi Sturzo che fa da sfondo alla nostra assemblea descrive nel migliore dei modi la nostra missione: il nuovo partito nasce sotto la spinta di emozioni, di sentimenti, di progetti nobili. Non di interessi partitici. È questa la dimostrazione più lampante e evidente che l’Udc, non è la casa degli opportunisti come qualche malinformato vorrebbe fare credere. Qualche tempo fa spulciando i documenti, gli articoli e gli scritti del filosofo Augusto Del Noce, mi è capitato di trovare una sua frase che a mio avviso coglie in pieno le potenzialità e la vera natura del Centro. Egli lo definiva, infatti, fedeltà creatrice. Non vi pare che siano le parole più adatte a descriverci? Solo restando fedeli ai propri principi, infatti, si può essere capaci di innovare veramente. Come si potrebbero spiegare altrimenti i movimenti di questi giorni? L’uscita di Rutelli dal Pd, le parole dell’ex ministro Beppe Pisanu sono solo la punta dell’iceberg: già a livello locale, da mesi il nostro partito ha conosciuto un travaso enorme di amministratori e di politici, come avvenuto ad esempio a Lentini, la mia città, dove il gruppo consiliare è cresciuto grazie all’adesione di quattro nuovi membri. Il segretario Lorenzo Cesa ha ripetuto più volte che questo è frutto del lavoro fatto tra la gente e non nelle sedi di partito. Sono perfettamente d’accordo: è il partito che deve andare tra la gente e non il contrario. Il movimento studentesco StudiCentro, che mi onoro di rappresentare per la provincia di Siracusa, ne è la riprova. Siamo nati da poco, ma siamo già sulla bocca di tutti! Abbiamo partecipato allo sciopero generale indetto dai maggiori sindacati il 9 ottobre scorso e abbiamo portato in piazza centinaia di ragazzi per dimostrare a tutti che moderato non significa opportunista e amante dei compromessi, ma capace di far valere la propria voce forti della propria identità e coscienza. Lo abbiamo fatto anche in occasione della recente sentenza europea sul Crocifisso, che consideriamo non una prova di sana e costruttiva laicità, ma solo l’ultima prova della pavidità dell’Europa e della sua ostinazione a non riconoscere il valore fondante che il Cristianesimo ha avuto nella storia del Vecchio Continente. Abbiamo anche presentato la lista StudiCentro in occasione delle elezioni per il rinnovo della Consulta Provinciale e abbiamo conquistato un risultato straordinario: il 99 per cento dei voti totali. Sono rimasto personalmente positivamente colpito. Non mi aspettavo questo risultato, che è sì un grande onore, ma anche una grande responsabilità. La responsabilità che dovrebbe contraddistinguere ogni azione di un buon politico e amministratore: l’obbligo morale e deontologico di fornire risposte certe alle domande degli elettori e dell’opinione pubblica. Ma perché questo possa accadere è necessario tornare a una legge elettorale che ripristini le preferenze alle elezioni politiche: c’è bisogno di ricreare quel rapporto di fiducia tra elettore e eletto. Il parlamento non può essere scelto da quattro Caligola che selezionano i deputati a secondo della loro prestanza fisica e della loro cieca fedeltà al leaderino di turno! Sono entusiasta del fatto che il nostro partito stia portando avanti queste proposte: come quella per gli aiuti fiscali alle famiglie numerose e soprattutto per la moratoria internazionale sull’aborto in cui crede fermamente il nostro presidente Rocco Buttiglione! Insieme agli amici del mio gruppo, adesso, abbiamo in cantiere una serie di proposte innovative che spero incontreranno anche il vostro favore: in cima alle priorità c’è l’attivazione di una Web Tv che diventi un modo per assicurare la diffusione più ampia alle nostre proposte e alle nostre attività, da coniugare con un uso massiccio e sapiente degli altri mass media. Il momento, secondo me, è propizio anche a livello regionale: Gianfranco Micchichè, infatti, ha dato vita al Pdl Sicilia. La più grande pagliacciata degli ultimi tempi. Sulla falsariga di Raffaele Lombardo, il sottosegretario al CIPE ha proclamato qualche giorno fa la propria volontà di costruire un partito del Sud federato al Pdl nazionale sul modello della Cdu-Csu. Con la nascita del nuovo gruppo, inoltre, gli equilibri della coalizione di centrodestra, già devastata dalle pazzie targate Lombardo, sono ancora più a rischio: con due Pdl (uno lealista, l'altro ribelle) che si fanno la guerra senza esclusione di colpi, un Mpa in mezzo al guado degli scontri intestini all'interno del Pollaio delle Libertà, l'unico partito veramente avvantaggiato da questo momento di smarrimento e di difficoltà è proprio l'Udc. Sembravamo destinati a scomparire dopo le dimissioni del presidente Totò Cuffaro. E invece non è stato così. Lo abbiamo dimostrato anche alle recenti elezioni europee. Nonostante la cacciata dalla giunta regionale abbiamo mantenuto intatti i nostri voti e abbiamo assunto un posto di rilievo nel quadro delle opposizioni al governo Lombardo. E la mossa scissionista e ribelle di ieri giunge nel momento migliore. La spaccatura del Pdl è stata talmente plateale da indebolirlo fortemente, minandone la rete di potere e la struttura di controllo. I lealisti non resteranno con le mani in mano e cercheranno nuove strade, se Alfano e Schifani non saranno in grado di dare risposte concrete subito. A quel punto i movimenti messi in atto sbloccheranno il blocco del voto moderato e noi centristi saremo pronti a offrire un riparo sicuro a quei delusi. Dopo di che la ripercussione su scala nazionale è scontata. Dobbiamo forse dimenticare che ciò che succede in Sicilia è sempre l'anticamera degli scenari politici italiani? Dove è nato il primo centrosinistra e dove si è avvertito per la prima volta il crollo della Democrazia Cristiana? Ha ragione Debora Serracchiani: se il Pdl crolla qui, l'impero berlusconiano è davvero finito. Ed è per questo che noi dobbiamo essere pronti fin da ora. Vedete, sono del parere che il Partito della Nazione non debba nascere per diventare un contrappeso alla Lega e sperare solo di sostituirlo al Governo. Non dobbiamo essere alternativi a Bossi, dobbiamo esserlo a Berlusconi! È l’elettorato moderato-conservatore, che magari vota senza passione e con disillusione il centrodestra solo perché ha paura della Sinistra, che dobbiamo conquistare ed ereditare. Sarò ingordo o eccessivo, ma il 14 per cento che il presidente Casini ha auspicato deve essere solo un punto d’inizio. L’arrivo deve essere una percentuale molto più alta e consistente! Quest’oggi è solo l’inizio del nostro cammino. Per arrivare sino in fondo è necessaria la collaborazione e l’impegno di tutti. Io, insieme ai miei amici e al mio gruppo ci saremo. Perché come ripeteva don Luigi Sturzo “un programma politico non si inventa, si vive”. E allora, cari amici, viviamo questo programma, questo cammino, quest’avventura affinché la lezione dei “liberi e forti” non sia dimenticata. Grazie!