mercoledì 31 marzo 2010

Le quattro parole d'ordine

Diciamocelo chiaramente: queste elezioni non sono andate bene. Certo, sarebbero potute anche andare peggio, ma non per ora non c'è nulla di cui andar fieri. L’Udc è ancora lì, fluttua intorno al 6 per cento e non riesce ad assorbire fette consistenti dell'elettorato moderato del PDL, perdendo anzi punti percentuali non appena fa una scelta coraggiosa (e un po’ azzardata) come quella piemontese. Naturalmente bisogna sottolineare il fatto che non si sia votato né in Sicilia, né in Sardegna, bacini elettorali tradizionalmente vicini e favorevoli, ma resta il fatto che i grandi scopi che eravamo prefissi, quello di diventare un argine alla Lega al Nord e di assestare un duro colpo al bipolarismo, sono falliti. Nelle regioni settentrionali, infatti, l’Udc, nonostante abbia scelto di non entrare a far parte di nessuna alleanza che includesse la Lega, ha visto le proprie percentuali o restare deboli o addirittura diventare irrisorie. Andando per ordine, infatti, dove abbiamo scelto la corsa in solitaria (onore e un abbraccio a Pezzotta e De Poli che si sono battuti come leoni) ci siamo arenati intorno a una media del 5,5 per cento, non riuscendo ad attrarre i voti degli elettori pdl stanchi della sudditanza leghista (forse perché non ce ne sono); dove poi abbiamo scelto il Centro Sinistra è andata anche peggio: in Piemonte e in Liguria, infatti, abbiamo raggranellato una media del 4 per cento, con conseguente sconfitta della Bresso. Un disastro. Nelle regioni rosse (ma questo era ovvio) ci siamo fermati al 4. Al Sud, poi si prende finalmente aria, ma si ingoia il rospo (quasi) amaro pugliese, con la buona affermazione della Poli Bortone, che non ha fatto raggiungere il 50 per cento a nessuno dei due candidati, ma con l’Udc che è sceso dal 9,5 delle ultime europee al 6,5. Capitolo a parte merita poi il Lazio, in cui, ironia della sorte, si è risentito maggiormente l’eco dell’appello dei vescovi, con gli elettori che ci hanno negato l’exploit a causa del nostro eccessivo ondivagare. Che a mio avviso, è stata la vera causa per cui, anche a queste elezioni, non siamo riusciti a sfondare. Siamo stati percepiti, infatti, essenzialmente come un partito di opportunisti, pronto a schierarsi a destra o a sinistra a seconda della convenienza e del numero di poltrone disponibili. Quasi nessuno ha creduto alla seria volontà di non farsi cooptare in uno schieramento piuttosto che in un altro, anche perché ormai gli Italiani hanno il cervello bipolare e convincerli che questo non sia un bene, è cosa ben difficile. Meglio allora sarebbe stato prendere una posizione unica e univoca sin dal principio, andando soli ovunque. Zero assessori, è vero, ma cento per cento di credibilità. Ormai non ci si può fare nulla, è andata come è andata (che sia l’ultima volta, però, sia chiaro). Possiamo soltanto guardare al futuro e sperare di non commettere nuovi errori. Per questo, rapidamente e umilmente, tenterò di tracciare una road map del da fare. Prima di tutto, serve radicamento nel territorio: l’Udc può contare su un discreto numero di truppe, spesso guidate, però, da generali opportunisti. Ce ne siamo resi conti chiaramente: non appena si fa una scelta diversa e rischiosa, sono in molti quelli a salutarci. Vedi Scanderebech in Piemonte, ad esempio. O molti altri nelle altre regioni. Unica consolazione: a loro è andata peggio che a noi, segno che in un centrodestra leghizzato non può esistere un centro moderato autonomo. Serve quindi un ritorno tra la gente, con i porta a porta, i comizi di un tempo, le sezioni fortemente strutturate e la produzione di proposte serie, concrete e realizzabili. Secondo: aprirci alle varie realtà dell’associazionismo laico e cattolico. Terzo: superare definitivamente la forma partito UDC che abbiamo conosciuto finora; ormai è un limone spremuto, più di questo non può dare. Se si continua a procrastinare la nascita del nuovo partito di Centro, saremo condannati alla sconfitta perpetua. È da più di un anno che si parla del fatidico congresso che segnerà il compimento della Costituente di Centro. Ma ogni volta che la data fissata si avvicina, questa scivola lentamente e inesorabilmente: prima era stato annunciato per dicembre dell’anno scorso, poi è passato ad Aprile di quest’anno, ora è fissato per il prossimo autunno. E intanto perdiamo la presa sui possibili partner di questo cammino: con Alleanza per l’Italia non siamo riusciti a costruire un’alleanza stabile neppure su tutte le regioni, mentre con i popolari del PD e i moderati del PDL il dialogo sembra essersi bruscamente interrotto. L’Udc può rappresentare, l’embrione, il punto da cui ripartire per costruire un nuovo partito, moderno ed europeo, occupando uno spazio che vada da Fini a Follini, passando per Tabacci, Rutelli, Pisanu, Dellai e Fioroni. Ma un partito così ha senso se riesce non tanto a staccare correnti o pezzi di nomenklatura ai partiti maggiori, quanto a raccordarsi con i settori poco rappresentati nella politica attuale. Con i lavoratori dipendenti stanchi di essere superati in autostrada dai Suv degli evasori cui pagano le medicine e le scuole ai figli, indignati con un governo pronto a varare condoni e scudi vari e delusi da una sinistra che nel 2006 aumentò l’aliquota Irpef proprio al ceto medio dipendente; con i giovani professionisti delusi da una politica gerontocratica e gerontofilia, incapace di ascoltarli; con le famiglie, numerose e non, al centro di continui proclami e spot, rimaste in attesa del miraggio del quoziente familiare. Il nuovo partito dovrà essere quindi in grado di stipulare un’alleanza forte e coerente con i ceti e le categorie che rappresentano la vera ricchezza d’Italia e che invece non sono adeguatamente rappresentate. Molti italiani trarrebbero vantaggio da una politica che premiasse il merito e imponesse la responsabilità, che riconoscesse i diritti e facesse rispettare regole e doveri. Quarto e ultimo: valorizzare le nostre energie giovani, fuori da vecchi e superati schieramenti partitici e ideologici, ma capaci di attualizzare e valorizzare le nostre idee e i nostri valori guida. Sono queste le parole d’ordine da cui dobbiamo ripartire. E che non possiamo assolutamente permetterci di dimenticare. Chiaro?