mercoledì 27 maggio 2009

La solitudine del Potere

In altri tempi il Cavaliere sarebbe intervenuto con quello che gli inglesi chiamano over rule. Un atto di giurisdizione superiore, in questo caso un intervento politico dirimente, avrebbe risolto l'intrigo siciliano prima ancora dello strappo plateale. Adesso invece deve assistere al tiro alla fune tra il presidente della Regione, nonché suo supposto alleato di ferro, Raffaele Lombardo, e i suoi luogotenenti, dal siciliano Giuseppe Castiglione al coordinatore nazionale Sandro Bondi. Non può mettere mano alla pratica, preso com'è dallo studio della controffensiva sul caso Noemi Letizia e dal nuovo allarme giudiziario scattato con la pubblicazione della sentenza Mills. Deve ascoltare senza diritto di replica anche la misuratissima reprimenda del segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, che non lo cita espressamente ma neanche si sottrae alle domande dei cronisti durante la conferenza stampa in Vaticano. In fondo Silvio Berlusconi è un adulto come tanti altri, fa intendere il prelato, uno dal quale, come da chiunque altro ci si aspetterebbe maggiore coerenza tra «richiami spesso moralistici» e la «noncuranza rispetto agli effetti dei comportamenti con cui si perseguono interessi e obiettivi». Il discorso, dice monsignor Crociata, «vale per tutti in rapporto alla differente visibilità di ciascuno ». Un richiamo garbato ma inequivocabile, se si considera che durante l'incontro con la stampa convocato per l'assemblea generale dei vescovi, il segretario generale è stato più volte sollecitato sui casi Noemi e Mills. La Chiesa non risparmia critiche, dunque, ma nemmeno affonda il colpo, quasi fosse consapevole che il premier attraversa uno dei momenti più difficili della sua vicenda politica. Era stato proprio Crociata a contraddire il presidente del Consiglio sull'Italia «multietnica e multiculturale» che «è un valore ed esiste già di fatto». Ieri il prelato è stato anche più specifico, ha distinto tra un «multiculturalismo che porta a culture isolate, enclavi chiuse» e un «interculturalismo che è invece scambio, arricchimento, condivisione di un territorio da parte di varie culture attorno a quella che plasma il tessuto artistico e sociale». Sul tema dell'immigrazione, della legge sulla sicurezza, la Cei si limita in sostanza a ricordare l'intangibilità dei diritti della persona, «senza pretendere di dare patenti o riconoscimenti a nessuno», tantomeno al governo. Berlusconi non avrebbe potuto aspettarsi parole e atteggiamenti più comprensivi di questo. Anche perché quando i cronisti hanno insistito con il segretario generale della Cei sul rapporto tra pronunciamenti pubblici e comportamenti privati, monsignor Crociata ha risposto che «di questioni morali ce ne sono tante», che «ognuno ha una sua coscienza e una sua capacità di giudizio » ma anche che il richiamo alla responsabilità degli adulti «non può essere strumentalizzato a livello di cronaca quotidiana».

Isolato, costretto ad ascoltare in silenzio i moniti delle autorità religiose, persino in lieve calo nei sondaggi. Nessuno avrebbe immaginato un Berlusconi così, appena un mese fa. C'è la concomitanza di alcuni spiacevoli incidenti, senza dubbio, ma ad ascoltare le riflessioni che arrivano da ambienti forzisti c'è anche qualcosa di più. Dice ad esempio un berlusconiano estraneo al triumvirato di via dell'Umiltà: «In Sicilia si gioca una partita simbolica, che quasi certamente si chiuderà con una sconfitta di Gianfranco Miccichè, unico tra i big del partito ad essere schierato con Lombardo». In sé la cosa non sembrerebbe pesare rispetto agli equilibri generali della maggioranza, ma la fonte forzista osserva: «Il sottosegretario è l'ultimo sopravvissuto della componente dellutriana. L'ultimo esponente che abbia conservato un certo rilievo di quel gruppo di giovani che hanno preso parte alla nascita di Forza Italia nel '94 e che hanno guidato il partito sul territorio in una prima fase. Si trattava di persone legate da un vero e proprio cordone ombelicale con Berlusconi, da un patto personale che andava oltre le vicende politiche e che garantiva in ogni caso una tenuta e una fedeltà indiscutibili. Oggi il Pdl è guidato in sostanza da figure che nel '94 militavano in altri partiti».

Tutto questo, è il ragionamento che circola tra forzisti della prima ora rimasti estranei al nuovo corso, «indebolisce e allenta la solidità della struttura berlusconiana. Intanto è proprio il Cavaliere a lamentarsi della scarsa solidarietà espressa dalla maggior parte dei suoi uomini nella vicenda Noemi e di fronte al nuovo scontro con i magistrati. E poi è chiaro che Berlusconi ne esce indebolito anche nei rapporti con gli alleati». E questo sarebbe il punto: con la crescita esponenziale del consenso, con il consolidamento del rapporto tra il presidente del Consiglio e l'elettorato, non c'è stata un contemporaneo, omogeneo rafforzamento di quella struttura che i nostalgici definiscono «leninismo aziendale»: nulla a che vedere, dicono, con il «centralismo democratico del vecchio Pci». Che sarebbe poi il registro sul quale si muove ad esempio Bondi quando, come ha fatto ieri, annuncia la linea dura sul caso Lombardo («il Pdl non permetterà collaborazioni spontanee e fuori dalla logica unitaria di partito» con una nuova eventuale giunta regionale).       


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