venerdì 30 ottobre 2009

Le inesattezze su Casini e quel paragone sbagliato con D'Alema

Secondo il sito A voce alta, tra Casini e D'Alema si potrebbe instaurare un paragone politico. Entrambi sarebbero due miti senza un perché: due inetti senza capacità concrete né possibilità realistiche di successo nella carriera. Un'analisi netta, decisa, che non lascia margini di interpretazione. Ma anche avventata e esagerata. Perché parte da un pregiudizio di fondo che la caratterizza da cima a fondo: perfino la storia personale del nostro leader viene storpiata e piegata a convenienza. Perfino il paragone è eccessivo. Baffino e Casini hanno poco da spartire. I loro destini (forse) si incontreranno, ma questo è troppo poco per usarli come termini di paragone in negativo. Ci sono poi troppe inesattezze nel pezzo. Intanto, Casini si è comportato benissimo da Presidente della Camera, all'insegna di un'imparzialità che non fosse solo una non presa di posizione; di una riscoperta delle figure storiche della storia della Repubblica più importanti; di un garbo istituzionale che troppo spesso viene dimenticato. Le misere percentuali di cui si parla nell'articolo hanno conosciuto un'impennata negli ultimi giorni (i sondaggi ci danno stabili all'8-9 per cento) tanto che il premier Berlusconi ne sarebbe seriamente preoccupato. Il progetto di un grande Centro (che gli Italiani forse non amano, ma di cui hanno estremamente bisogno) è ormai decollato e presto prenderà forma definitivamente, insieme a tutti quegli uomini liberi e forti che sono disposti a mettere in gioco la propria poltrona (sicura) per costruire qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Se poi Casini stava lasciando lo studio di Ballarò, era perché la qualità del dibattito stava scadendo veramente. Tra gossip, giudici comunisti e (pseudo) complimenti tra Gasparri e la Bindi, non sembrava proprio di essere in un programma di approfondimento politico. Ecco tutto. Se poi Pierferdinando Casini riterrà che il nuovo partito di Centro si debba alleare con il centrosinistra, questo si vedrà e si giudicherà a tempo debito. Anche perché una nuova aggregazione di moderati popolari, liberali e democratici è una novità eccezionale: non più solo un residuale combriccola di apolidi democristiani, ma la sintesi e l'incontro di uomini coraggiosi con storie e origini diverse. Poco importa se poi ci alleeremo con la Destra o con la Sinistra. Perché prima di tutto viene il nostro progetto e il nostro futuro.

giovedì 29 ottobre 2009

Perchè i popolari alla fine andranno con Casini (ma non con Rutelli)

Aria di disastrosa scissione all'interno del Partito Democratico. Dopo Francesco Rutelli (la cui associazione presentata ieri ha già preso il largo), infatti, un'altra ala sarebbe pronta a entrare nella Costituente di Centro di Pierferdinando Casini. Si tratta degli ex Dc, riuniti da tempo sotto il nome di Popolari, che non gradirebbero più la propria permanenza all'interno di un Pd fortemente dalemiano. La probabile sostituzione del capogruppo Soro con Letta, la presidenza del partito assegnata alla Bindi o a Prodi, il socialismo europeo mal digeribile, il taglio da ogni posizione di rilievo sono motivazioni più che valide. Dopo la sonora sconfitta di Dario Franceschini, infatti, sia Franco Marini che Beppe Fioroni starebbero saggiando la possibilità di una loro fuoriuscita e la costituzione di un nuovo partito centrista che sarebbe pronto a incontrarsi con l'Udc già prima delle elezioni regionali. Fioroni ha avuto modo di incontrare il Card Bertone qualche settimana fa, e di esporgli le proprie perplessità intorno al risultato delle primarie. Ha poi abbozzato una possibile exit strategy, che consisterebbe in un'uscita dal Pd dopo che la rivoluzione Bersani, creando nuovi gruppi parlamentari (che potrebbero prendere il nome di Popolari per la Costituente) sia alla Camera che al Senato e federarsi immediatamente all'Unione di Centro. Franco Marini ieri ha addirittura preso le distanze da Fassino e Franceschini. Tutto per guadagnare vantaggio soprattutto sulle mosse di Rutelli. Se infatti questi e Casini dovessero raggiungere un'alleanza di ferro, i popolari perderebbero importanza. Se invece già fra due settimane al massimo, Marini e Fioroni offriranno all'ex presidente della Camera ben 46 parlamentari (che con un po' di sforzo potrebbero diventare anche 60) da sciogliere addirittura in un unico gruppo comune, la loro posizione diventerebbe strategica e fondamentale per la nascita del nuovo partito. Né Fioroni né Marini, infatti, hanno gradito le ultime mosse improvvise dell'ex sindaco di Roma, che temono per la propria imprevedibilità e il loro tentativo di neutralizzarlo potrebbe anche riuscire. Bruno Tabacci, ideologo della corte centrista e fine conoscitore della politica, ha detto chiaramente che l'Udc non basta più e che gli spazi al Centro sono molti e forti. Non per niente nel manifesto firmato ieri a Roma si legge dell'importanza della nascita di un partito liberale, democratico, popolare. Non manca nessuna aggettivazione: Rutelli, Casini e Fioroni ci entrano tutti. Vedremo chi si aggiungerà.

mercoledì 28 ottobre 2009

Gli incubi di B.

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi ha paura. Troppe cose negli ultimi tempi non vanno più come si aspettava: prima Fini, poi Tremonti, ora tutto il Pdl sembra in rivolta silenziosa. E' come se tutto gli stia impercettibilmente ma inesorabilmente scivolando dalle mani. Ce ne siamo accorti tutti, dice l'Avvenire di oggi: nel centrodestra il ruolo del federatore, capace di sintetizzare e risolvere le diatribe interne, da sempre esclusiva di Berlusconi, non sembra più intoccabile. Il nervosismo è alle stelle. Dai salotti sono scomparsi i volti giovani e poco aggressivi di un tempo, sostituiti da ministri, capigruppo e coordinatori nazionali. Nonostante la loro grande esperienza sono però irritabilissimi. Scoppiano alla prima provocazione e non riescono a mantenere la lucidità di un tempo. La scarlattina è solo un modo per evitare l'assalto. Almeno per ora. Come spiega bene Antonio Polito sul Riformista: Berlusconi è alle prese con due incubi, che gli tolgono il sonno. Dopo la sentenza di conferma in appello della condanna a Mills e dopo le esternazioni di Tremonti, teme una nuova ondata giudiziaria e un crollo in politica economica. E se ciò dovesse accadere, il (suo) Governo non sarebbe più così solido. Se poi si aggiungono i movimenti al Centro e le intese tra Casini e Rutelli, che rischiano di sottrargli l'egemonia sull'area moderata, allora la situazione si fa più fosca. Fini che spinge per smarcarsi e che manda messaggi subliminali ai centristi è poi la grande spina nel fianco. Avete notato di come si sia smarcato e sia rimasto nella penombra dopo gli Stati Generali del Centro di Chianciano? Paura delle conseguenze, forse? No. Secondo me, mero calcolo politico. Il Pdl ha il destino segnato, ma finché c'è Silvio in giro non può uscire allo scoperto, visto che rischierebbe di perdere consensi e non vuole correre questo rischio. Meglio aspettare tempi migliori, ormai in avvicinamento. E' questo il suo ragionamento e lo ha fatto capire anche a Casini e a Rutelli, invitandoli a cominciare a battere il terreno. Lui arriverà dopo, magari dopo aver aiutato il centrodestra a liberarsi del premier. E visto che non è uno sprovveduto, Silvio tenta di ricucire gli strappi e riportare la pace all'interno del suo chiarimento, per salvare se stesso e le sorti della propria politica. Ma non ci riuscirà. Nemmeno un Predellino 2 sarebbe in grado di resuscitarlo. Una speranza era venuta dalla vicenda Marrazzo: se il governatore del Lazio non si fosse dimesso, allora si sarebbe potuto servire del tutto per sminuire le polemiche. Invece Piero si è dimesso e lui ha perso l'ultima possibilità di difesa. Per B. i tempi si fanno troppo bui.

martedì 27 ottobre 2009

La palla al Centro

«Dovevamo cambiare terreno di gioco, allenatore, squadra, pallone, modulo tattico, perfino i tifosi. Dopo quindici anni, bisognava cambiare tutto. E invece non abbiamo cambiato niente». Francesco Rutelli
E così fu. Francesco Rutelli dopo mesi e mesi di dichiarazioni di fuga (poi prontamente smentite) ha annunciato il suo addio definitivo al Partito Democratico. Riaprendo così le danze al Centro. Che, a quanto si apprende oggi dai giornali, sarebbe sul punto di assumere una configurazione politica nuova e rivoluzionaria. Non un soggetto unitario unico subito, ma due percorsi paralleli (uno laico e uno cattolico) che però lavorerebbero insieme nella prospettiva del Partito della Nazione. A seguire Rutelli ci sarebbero pronti già 25 parlamentari, tra cui la Binetti e Lusi, e un gruppo di deputati laici e liberali che siedono tra i banchi dell'opposizione in Parlamento. Tra questi ci sarebbero il repubblicano Giorgio la Malfa, i liberal democratici Tanoni, Melchiorre e Merlo e Paolo Guzzanti, che ieri ha confessato : "c'è stato un colloquio tra Rutelli e il segretario del mio partito, De Luca: hanno parlato di formare un gruppo unico. Per poi arrivare all'accordo con l'Udc: noi saremo la gamba laica, loro quella cattolica di una nuova formazione". Questo perché, naturalmente, un partito con radici fortemente democristiane difficilmente potrebbe allargare i propri orizzonti. Uno sconvolgimento simile non lascerebbe immune nemmeno il Pdl. Come ci spiega chiaramente Beppe Pisanu, che in un'intervista all'Unità, ritiene che i tempi siano maturi per una terza forza moderata. L'analisi più lucida della situazione ci viene offerto da Michele Salvati, che oggi sul Corriere della Sera, decreta la fine del bipolarismo e l'arrivo di un nuovo modello. Se infatti dopo le scorse elezioni politiche l'Udc era visto come condannato alla scissione e alla confluenza in uno dei due grandi partiti (Casini e Buttiglione nel Pdl, Tabacci e Pezzotta nel Pd) ora il nostro partito è diventato un punto di aggregazione non solo per gli scontenti e i delusi, ma per tutti coloro che vogliono costruire qualcosa di veramente nuovo. E se al clima emergenziale seguito alla vittoria di Bersani in casa Pd si sommano le tensioni interne al Pdl, non è affatto avventato pensare che la Seconda Repubblica abbia ormai i giorni (forse qualcosina in più) contati. E il nostro nuovo partito, costruito sul modello della Kadima israeliana, avrà un ruolo chiave nello scacchiere politico, che dovrà essere riformato alla tedesca. Sono mesi che aspettavo questo momento. Il momento in cui l'Italia tutta avrebbe visto l'alba di una nuova politica. La politica del coraggio, della libertà e del buonsenso.

lunedì 26 ottobre 2009

Perchè le primarie di ieri hanno fatto il bene di tutti

Belle le primarie del Pd di ieri. Inutile, scontate, superflue ma belle. Sembrava di essere allo spoglio delle elezioni politiche: tra liste, schede azzurre e rosa, volantini elettorali, mollette verdi e gigantografie dei vari candidati. Tutto questo per aspettare un verdetto già scritto: Pierluigi Bersani ha vinto. I tre milioni di votanti (chissà quanti erano gli infiltrati) hanno fatto la scelta giusta. Hanno preferito all'ennesima delusione veltroniana in salsa americo-futurista, la solidità e la serietà socialdemocratica e novecentesca dell'ex ministro prodiano. E non è detto che quelle di ieri siano state le primarie della fine del Pd. Anche se una cospicua ala cattolica e centrista sarebbe pronta ad andarsene già durante questa settimana. Non solo Rutelli. Con lui sarebbero pronti a fare le valigie Fioroni e alcuni grossi popolari come Lorenzo Dellai. Senza contare la scissione che presto si consumerà anche dentro all'Italia dei Valori, con la fuoriuscita di personaggi come Pino Pisicchio. Ma il Pd sopravviverà, ne sono sicuro. E darà finalmente un senso alla propria esistenza. Attirando nella propria orbita Sinistra e Libertà e gli ultimi comunisti in via d'estinzione, diventerà il partito di sinistra riformista che è sempre mancato in Italia. Magari cambierà nome. Ma la sostanza rimarrà sempre quella. Non sarà nè una riedizione del Pds nè dei Ds. Ma sarà lo stesso così a Sinistra da impedire la coabitazione anche con Franceschini. Chissà se questo Dario lo capirà, problemi suoi. La cosa certa è che le primarie hanno fatto il bene di tutti. Della Sinistra che sarà finalmente sinistra. Dell'Udc, perché ha finalmente dato l'accelerazione finale al progetto della Costituente di Centro. Della Destra, che avrà un avversario chiaro, lineare e che non ritiene l'antiberlusconismo la soluzione del problema. Della politica italiana in generale, che se tutto va per il verso giusto, conoscerà un nuovo centrosinistra rivoluzionario. E' questa la prima vera vittoria di Bersani. Siamo in attesa di conoscere le altre.

venerdì 23 ottobre 2009

Ecco perchè scelgo Bersani

Se questa domenica dovessi andare a votare alle primarie (Dio me ne scampi e me ne liberi!) per la scelta del segretario del Partito Democratico, voterei per Pierluigi Bersani. Senza pensarci due volte. L’Emilia, il socialismo di Bettola, vicino a Piacenza, le liberalizzazioni, quel mezzo toscano sempre acceso in bocca, il partito liquido no, quello è roba da Veltroni. Questo è Pierluigi. A mio modesto avviso, quello che ci vuole veramente per il Partito Disastrato. Perché è serio, capace, competente e (soprattutto) realista. Perché sa stare e far stare al proprio posto, non ha inclinazioni lunatiche e pubblicitaristiche e conosce giustamente i propri limiti e i propri doveri. Perché se eletto segretario non andrà a giurare fedeltà alla Costituzione su un marciapide emiliano nelle mani del padre e non si sceglierà un vice solo perché nero. Perché non ha impostato la propria campagna elettorale su un solo tema, peraltro così complesso e difficile come la laicità. Perché non ha mai rinnegato le proprie radici e la propria cultura, ma non per questo non sa guardare con favore al futuro. Perché le sue parole d'ordine sono Partito e Politica. Perché è l'unico a essere veramente convinto che l'alleanza con l'Udc sia una ricchezza e non un peso. Perché se vincerà lui, potremo sperare di tornare a una fase di normalità politica e al contempo di novità (vera) con un'alleanza stabile tra un forte partito di Centro e uno forte di Sinistra, mettendo finalmente fine al veltronismo, capace solo di emulare e plagiare la storia e la cultura di un partito troppo lontano dall'Italia. Perché con calma e razionalismo è sempre capace di zittire gli ululanti mastini di Destra e i suoi discorsi sanno tanto di concretezza e di tanto amato Novecento. Perché su laicità e coscienza individuale e personale ha parlato sempre bene. Perché non è né tagliando né cassando che si innova. Non perché dietro ha D'Alema, che però è sempre D'Alema. Perché ha già vinto un Congresso, quello vero, e per questo meriterebbe già l'incoronazione. Perché se vincerà non si riempirà la bocca di Obamismi o di frasi preconfezionate sulla speranza e sul futuro. Vai Pierlugi. Se non fosse per forza maggiore, domenica voterei per te.

mercoledì 21 ottobre 2009

Il Dopo Berlusconi: Bertolaso

Un rumor clamoroso circola nei Palazzi della capitale. Niente Tremonti, troppo "leghista", niente Fini, troppo "aennino", niente Gianni Letta, troppo "democristiano"... Silvio Berlusconi avrebbe in mente per la successione alla guida del Popolo della Libertà e come candidato premier del Centrodestra Guido Bertolaso. Il capo della Protezione Civile non è un politico, come il Cavaliere, e soprattutto, come il Cavaliere, è l'uomo del fare, dei risultati, dei fatti concreti e non delle parole. Fantapolitica? Mica tanto...
Il rumors proviene da Affari Italiani e già questo dice tutto sul suo grado di attendibilità. Però vale la pena di rifletterci su un momento. Possibile che il Cavaliere abbia scelto di continuare sulla strada maestra che tracciò 15 anni fa, basta politici di professione, viva la cultura del fare? All'intesa strategica tra i due ci siamo abituati dopo Napoli e l'Abruzzo (stranamente non per Giampilieri): Berlusconi glorifica in pubblico Bertolaso per i suoi successi e i suoi meriti e arriva a nominarlo anche sottosegretario, il che è già una mossa strategica fondamentale. In questo modo è riuscito, infatti, a legarlo a sé e al Pdl in modo definitivo. Tant'è che tempo fa, nel toto candidato per la presidenza della regione Lazio, il suo era uno dei nomi più quotati. Nulla di fatto poi, ma una notizia così importante non passa mica inosservata. Il dualismo tra Berlusconi e Bertolaso è la chiave di lettura più appropriata per comprendere la situazione interna al Pdl: un partito in piena crisi di identità e di valori. L'uscita di ieri del ministro Tremonti non sarà certo l'ultima di questo genere. Come Fini, anche lui cerca spazi di manovra per svincolarsi dall'ingombrante egemonia di Silvio, nell'attesa di quel dopo Berlusconi che sembra non arrivare mai. Ma il Cavaliere non è certo uno sprovveduto: si è affezionato troppo alla sua creatura per lasciarla in mani sbagliate. Per il suo dopo vuole qualcuno che gli assomigli in tutto per tutto e Guido Bertolaso è il più indicato. Dopo l'asse Berlusconi - Bossi, arriva quello Berlusconi - Bertolaso...sempre B&B.

martedì 20 ottobre 2009

Come nel 2004?

E' inutile negarlo: a volte i fantasmi ritornano. E stavolta sono tornati anche per Giulio Tremonti, ministro dell'economia. Perché dopo l'uscita schock di ieri sul posto fisso e sulla mobilità sociale, torna a concretizzarsi la possibilità di dimissioni anticipate dalla propria carica, come ci suggeriscono Simone Bressan e Attilio Gambino su Notapolitica.it. Senza contare le critiche si è attirato da Renato Brunetta, che della battaglia contro gli statali e i fissi ha fatto una bandiera: "è una ricetta del secolo scorso". La proposta ha spaccato anche il Pdl, con una frangia più statalista a favore del primo e una più movimentista schierata con il secondo. Su l'Occidentale si sono affrontati Francesco Forte (pro) e Alberto Mingardi (contro). Qualcosa non funziona più: all'interno del Pdl la voglia crescente di progettare il centrodestra del futuro ha prodotto una confusione ideologica e culturale. Capiamoci: io sono del parere che il posto fisso sia un diritto fondamentale e un valore per cui bisogna combattere duramente. Ma da qui a fare una dichiarazione che frantumi un partito già in crisi di identità è lungo. Possibile che Giulio non l'abbia ponderata? Possibile che lo abbia fatto apposta? Il Sole 24 Ore ha pubblicato oggi un'interessante retrospettiva, secondo la quale Tremonti agisce nella speranza di creare una solida prospettiva per il futuro della Destra:
Elogiare la filosofia del "posto fisso", dopo che la sinistra riformista ha impiegato anni per accettare alcuni principi della "mobilità", significa divertirsi a spiazzare gli avversari. Ma vuol dire anche creare qualche difficoltà agli amici di partito e di governo. È appunto il profilo politico: come se Tremonti avesse deciso di accelerare la propria transizione da ministro tecnico, che non è mai veramente stato, a ministro capace di innovative sintesi politiche. Innovative, e talvolta sorprendenti, proprio per il centro-destra. Forse anche per Berlusconi. In fondo lo stesso progetto della Banca del Sud risponde a una precisa logica. Un governo visto nell'immaginario collettivo come "nordista" mette in opera, per iniziativa del ministro di Sondrio amico di Bossi, un piano discutibile ma votato al sostegno dell'economia del Mezzogiorno.
Questo ulteriore passo in avanti apre un nuovo capitolo nella discussione: perché Tremonti sente la necessità di sintetizzare? Non c'è già stato Berlusconi? Evidentemente no. Evidentemente (inconsciamente) il super Ministro ha avvallato la tesi dei molti (tra cui il sottoscritto) che sostengono il fatto che Silvio non ha fuso le Destre, ma le ha solo Confuse! Su tutto: valori etici, sociali e economici. il liberalismo tanto decantato si è rivelato una bolla di sapone e ora si corre ai ripari. Nel modo peggiore: scimmiottando quella Sinistra d'antan che (sfortuna!) si era finalmente decisa ad abbondare la difesa corpo a corpo del posto fisso. E ora stiamo a vedere se Giulio avrà il coraggio di dimettersi per portare sino in fondo la propria battaglia.

lunedì 19 ottobre 2009

Aznar o Blair? E' questo il dilemma!

Tony Blair
Con il dell'Irlanda al Trattato di Lisbona si è riaperto il giro di candidati per la poltrona di super premier europeo. Per la carica il favorito è l'inglese Tony Blair, ex premier e inventore della Terza Via del Labour Party, sponsorizzato da molti capi di stato europei, in larga parte conservatori come Sarkozy, Silvio Berlusconi e Angela Merkel. L'idea gode anche del supporto di vari media e giornali, non ultimo, il Foglio di Giuliano Ferrara, che ha avviato una campagna di sostegno morale (e politico) per Blair. Sul sito si legge:
Blair è il presidente perfetto per l’anemica Unione europea perché è dotato di leadership culturale e di spirito innovativo e di capacità di condurre grandi battaglie ideali, etiche e morali. Blair non ha soltanto svecchiato la sinistra britannica, europea e mondiale, rendendola finalmente moderna, liberale e di nuovo appetibile per la maggioranza degli elettori, ma ha costretto anche la destra, i conservatori, a rinnovarsi, ad aprirsi al mondo della globalizzazione e a modificare l’ortodossia ideologica di un tempo.
Le controreazioni non si sono fatte attendere però. La candidatura di Blair non è l'unica sul piatto: a contendergli il posto di super premier ci sono anche due colossi del calibro di Aznar e Rasmussen. A cui i conservatori puritani guardano come sponda per evitare il ritorno dell'eterno Tony. In prima linea il sito Freedom Land, che ha scritto qualche giorno fa che:

Il centrodestra stradomina l’Europarlamento, il Regno Unito sceglie di chiudere con Blair, Brown e il New Labour e tutto quello che sappiamo fare è candidare il buon Tony a capo del carozzone blu con tante stelline? L’impressione mia personale è che dovremmo avere il coraggio di candidare qualcun’altro, scrollandoci di dosso una volta per tutte questa ridicola soggezione culturale nei confronti della sinistra mondiale.

L'analisi è in realtà condivisibile nel complesso, visto che parte da un dato politico incontrovertibile: perché se il centrodestra domina l'Europa, non deve pretendere il ruolo più alto? JimMomo è però di tutt'altro avviso:
No, perché Blair con la sinistra prevalente in Europa, rimasta incollata a vecchie pastoie ideologiche del secolo scorso, e quindi incapace di governare i processi socio-economici di oggi, non ha nulla a che fare. Ed è questo che le socialdemocrazie europee non gli perdonano. Di aver saputo rinnovare, e di aver avuto successo nel rinnovamento laddove loro hanno fallito, o non hanno neanche provato. Blair è troppo "liberista", troppo "filoamericano", addirittura "guerrafondaio". Insomma, troppo "di destra". E rappresenta un europeismo più fresco e dinamico, distante da quello "politicamente corretto" e burocratico dominante nel Continente.
Anche perché la professione cattolica di Tony (di quanto ne dicano in molti) può rappresentare un punto a suo favore. Il discorso che ha tenuto al Meeting di Comunione e Liberazione ha rappresentato un punto di equilibrio eccezionale sulla laicità e sui rapporti tra Stato e Chiesa:

It is here that Faith enlarges and enriches the idea of community. The recent Papal Encyclical is a remarkable document in many respects. It repays reading and re-reading. But one strand throughout it, is a strong rejoinder to the notion of relativism, to the description of the human condition in society as just some amoral negotiation or set of compromises with modernity; or even just obedience to the majority opinion. Not that it is anti-technology or anti-modern; or indeed anti-democratic.

Una lezione per i laicisti sbracati che ogni giorno si moltiplicano sempre più anche in Italia. Scegliere tra Blair e Aznar, significa scegliere tra due modelli differenti d'Europa, due modelli (per certi versi anche antitetici) di politica economica, sociale e comunitaria. Anche perché, in un momento delicato come questo, conservatore o riformista può voler dire (e quindi fare) tutto. Anche la scelta tra un mediterraneo e un atlantico potrebbe aprire due fronti diversi. Resta solo capire su quale fronte l'Europa tutta si voglia schierare. Tony o José Maria? Questo è il dilemma!

domenica 18 ottobre 2009

Vite parallele (o quasi)

«Ma santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?» Matteo Mezzadri, dirigente dimissionario dei Giovani Pd su Facebook

«Se la sinistra vuole scontri, io ho 300mila uomini. I fucili sono sempre caldi»

Umberto Bossi, leader della Lega Nord e ora Ministro della Repubblica
Sembrano frasi molto simili, e lo sono. Primo perché entrambe sono da condannare duramente, secondo per lo sfondo bellicoso a base di armi. Solo che hanno avuto conseguenze opposte: il primo, Matteo, si è dimesso dal proprio ruolo di coordinatore dei Giovani Democratici; il secondo, invece, è stato promosso al grado di Ministro della Repubblica. Strano, no? Le due frasi sono parallele, ma al momento del giudizio, i pesi e le misure diventano due. Ma di chi è la colpa? E' ovvio! Di chi ha demonizzato a tal punto Silvio da offrirgli ogni volta l'alibi per potersi difendere. E così la scemenza intempestiva di un ragazzo è riuscita a coprire mediaticamente (ancora una volta) le cose che meritano davvero di essere ascoltate. E poi si parla di sicurezza del premier. Non è lui che si è messo una prostituta nel letto? La D'Addario aveva solo un registratore, ma se avesse avuto una pistola? E allora! L'attacco di Bossi, invece? Non è grave quello? Minacciare di far scendere in piazza 300 mila uomini armati se le opposizioni non si piegheranno, quello non è grave? "Ma no, sono solo battute giustificabili dai toni roventi dello scontro politico!" si difende Bonaiuti. Come per la battuta su Rosy Bindi. Ma si giustificano solo se vengono da una parte ben definita. Sig. Presidente, mi scusi, ma a me lei sembra "più alto che intelligente".

sabato 17 ottobre 2009

La Kadima Italiana

“Un’occasione perduta. Finora, completamente perduta. Provate a chiedere in giro di cosa si sta parlando in questo congresso del Pd. La risposta sarà sempre la stessa: è una lotta di potere interno. Vedo uno scolalmento clamoroso tra questo partito e il Paese”. Francesco Rutelli ha le valigie pronte. La casa del Pd, che contribuì a fondare portando in dote la sua Margherita, gli piace sempre meno. A Panorama consegna una dura requisitoria contro ciò ormai che gli appare l’irrimediabile involuzione di un sogno; e insieme, una prima anticipazione dei suoi progetti, del suo”Kadima” all’italiana. La correttezza gli impone di attendere fino al 25 ottobre, data delle primarie, per tirare il suo dado. Ma si capisce che solo un miracolo potrebbe ormai evitare un esito già determinato.
Francesco Rutelli, in un'intervista all'ultimo numero di Panorama, ha riproposto (stavolta con molta più convinzione del solito) l'idea della nascita di un nuovo partito di centro moderato e liberale sul modello israeliano di Kadima, fondato nel 2006 dal conservatore Sharon e dal laburista Peres. Già da tempo si parla dei progetti neocentristi e scissionisti dell'ex leader della Margherita (ne abbiamo parlato anche noi tempo fa) e si sono sempre fatte congetture e previsioni ogni volta diverse. Partiti prima da una confluenza nell'Udc, gli esperti hanno poi via via rivisto le loro opinioni iniziali, fino a deliniare un progetto complesso e rivoluzionario: l'introduzione, per l'appunto, di un partito centrista nuovo e non necessariamente legato esclusivamente all'ideologia democristiana. Fortemente ecologista e riformista, ma che sappia imbarcare compagni di viaggio come Casini, Fini e Montezemolo. E che diventi un polo capace di assorbire voti sia al Pdl che al Pd. Una prospettiva interessantissima. Soprattutto per il parallelo con Kadima, che è riuscita a rivoluzionare uno schema politico bloccato e statico. Allora un conservatore di lungo corso come Ariel Sharon riuscì ad avere il coraggio di mettere in discussione se stesso e decine di anni di storie politiche. Ha avuto il coraggio di sacrificarli per costruire qualcosa di nuovo. Il nome del partito significa AVANTI e rappresenta quello sguardo verso il futuro che viene troppo spesso dimenticato. Ma come dovrebbe essere la nuova forza? Come già diceva Marco Follini un paio di mesi fa, moderata ma non opportunista, capace di superare la dicotomia Destra-Sinistra; liberale, popolare; riformista e con vistose connotazioni ecologiste; con obiettivi ambiziosi e che non nasca solo per diventare stampella di una o di un'altra coalizione; federale, autonomista e non centralista, seguendo l'insegnamento di Don Sturzo; che sappia recuperare i valori e attualizzarli. Fondamentale devono essere anche i modelli a cui ispirarsi: ottimo potrebbe essere il MoDem francese di Bayrou, evoluzione dell'Udf. O anche lo stesso PPI sturziano. Un partito di cattolici che si era aperto a tutti i contributi. Certo, i tempi sono diversi, ma l'attualità dell'appello ai liberi e forti è eccezionale. Il nostro partito deve rispondere a un'esigenza del popolo italiano: esigenza di certezza, di concretezza, di futuro. Numerosi sondaggi dell'ultima ora danno l'Udc (per la prima volta in assoluto) in crescita stabile al 8 per cento. Non era mai successo. Secondo l'analisi metodica, sono voti provenienti dall'area degli astenuti alle scorse elezioni europee. Segno che il nostro progetto comincia a prendere consistenza e a convincere anche coloro che finora sono rimasti scettici. Gli sproni principali ad agire sono venuti anche da Ferruccio de Bortoli, uno dei pochi giornalisti seri e professionali rimasti, che già nel suo editoriale di insediamento aveva detto:
Il nostro è un giornale aperto. Nel quale le idee si confrontano e si rispettano. Ma noi siamo dei moderati, sottolineo moderati, orgogliosi della nostra tradizione. E della nostra indipendenza. Un giornale aperto è il luogo dell’incontro proficuo tra laici e cattolici. Il luogo della tolleranza e della ragione. Dove si tenta di costruire, piuttosto che distruggere. Che sta dalla parte del Paese. Non contro. E ambisce a rappresentare quell’Italia che ce la fa, come quella di questi giorni di passione in Abruzzo. Consapevole dei suoi mezzi. Che produce, investe, studia; si rimbocca le maniche ed è orgogliosa di quello che crea. E va non solo in formata correttamente ma anche rappresentata. Difesa. Un giornale moderno è anche uno spec chio dell’identità di chi lo legge.
Le parole sono riferite al Corsera, ma sembrano essere scritte per la Costituente di Centro, non vi pare? La prima attuazione pratica del nostro progetto potrebbero essere le prossime elezioni regionali in Veneto. Lì vedremo se Giancarlo Galan avrà il coraggio di mettersi a capo di tutti i moderati veneti e di guidare la riscossa contro la Lega. Se riuscirà a formare una lista regionale mettendo insieme i suoi elettori, i centristi dell'Udc e del Pd, allora quello sarà il primo nucleo della nuova Kadima, come ha scritto bene Gian Antonio Stella sempre sul Corriere oggi:

Non è dunque un caso che le prime reazioni, ieri, abbiano avuto un tema dominante: dove si deciderà chi sarà il candidato della destra alle prossime regionali di marzo: a Roma, a Milano o in Veneto? Il punto non è secondario. Lo dicono le quasi mille firme raccolte in questi mesi tra i sindaci, amministratori ed elettori pidiellini in calce a una lettera che chiede al Cavaliere di lasciare le cose come stanno. Lo dice una storia di insofferenze verso non solo i romani ma anche i milanesi che, senza risalire alla battaglia di Maclodio, ha visto cicli che invocazioni al partito di tipo bavarese fin dai tempi di Toni Bisaglia e perfino rari tentativi (repressi) di rivolta interna leghista contro l’egemonia lombarda. Lo dice infine la risposta dell’Udc che in Veneto è da sempre a destra ma oggi, oltre a tuonare «col Carroccio al timone mai», lancia l’idea di un listone aperto a tutti quelli che non ci stanno. Scelta che potrebbe poi pesare sul le alleanze nel resto del Paese. Come finirà? Mah... Cer­to è che la Lega si trova davanti a un paradosso: non può permettersi che la scelta veneta appaia fatta a Roma. E neppure a Varese.

La politica italiana tutta ha bisogno di Kadima. Noi saremo in grado di farcela? Sì, ormai ne sono convinto. Con il coraggio dei liberi e dei forti del nostro tempo!

venerdì 16 ottobre 2009

Perché l'economia non può essere omofoba

Scrive bene stamattina su La Stampa Irene Tignali (ve la ricordate, quella che lasciò il Pd in aperto dissenso con Veltroni?) che economia e comunità gay sono in stretto, strettissimo rapporto. La sua è però una visione edulcorata del problema, per cui:
Una società in grado di accettare le diversità è una società che sa motivare e gratificare i propri cittadini, che sa guadagnarsi il loro rispetto e la loro partecipazione sociale, civile, economica. È una società che cresce, che innova, che prospera. [...] I dati supportano queste tesi, sia all’interno degli Stati Uniti, in cui le città più aperte e tolleranti come San Francisco, Seattle o Austin hanno i tassi più elevati di innovazione e di concentrazione di talenti e creativi, che nei Paesi europei, dove Svezia, Danimarca, Olanda registrano, guardacaso, sia altissimi livelli di tolleranza verso le diversità e l’omosessualità, che alti livelli di innovazione, di sviluppo e di competitività economica. [...] Perché niente motiva e stimola un essere umano più della consapevolezza di potersi realizzare in pienezza e in libertà.
La studiosa sostiene quindi che solo garantendo la piena libertà di espressione si possono garantire sviluppo sociale ed economico. Insomma. Piuttosto la verità è un'altra. Credo che nessuno possa negare il fatto che le lobby omosessuali dispongano di un potere immenso, sia in termini politici che economici. Le coppie gay spendono e spandono, senza ritegno né contegno. Non sono come una semplice famiglia etero costretta a risparmiare ogni mese per poter superare la fatidica quarta settimana. Gli omosex non devono preoccuparsi di comprare i libri ai figli. Loro vanno in discoteca, alle feste nelle discoteche private, abitano nei quartieri ad hoc, vestono firmati e griffati. Ecco perché l'Economia ha bisogno di loro. Perché rappresentano la scintilla più forte per mettere in circolo l'alto mercato. Le statistiche parlano chiaro: una coppia LGBT spende in media il 65 per cento in più di una etero. Oro colato per le grandi industrie, che non perdono tempo per spronare leggi come quella affossata mercoledì scorso. Ma lo vedete uno come Ivan Scalfarotto che grida: "noi come voi" andare a fare la spese in un discount? Io non ci riesco proprio. E così apparentemente dietro una "battaglia per i diritti" (virgoletto l'espressione per ovvi motivi) si nasconde l'interesse superiore del mondo economico. Sarà un caso che Guido Westerwelle, ministro degli esteri tedesco, sia gay e pure liberale? E che il suo compagno sia un grosso imprenditore di Colonia? Non vorrei dare vita a dietrologie complesse. Anche perché complesse non lo sono affatto.

mercoledì 14 ottobre 2009

Ma nessuno si ricorda di Buttiglione?

La legge sui Gay è morta, evviva la legge! Almeno così si potrebbero sintetizzare le tumultuose ore seguite all'affossamento sulla lege anti-omofobica da parte di Pdl, Udc, Lega e (lasciatemelo dire) Pd. Accuse e insulti a ripetizione (manco ci fosse stato un colpo di stato!) tra entrambe le parti, lo sfogo della Concia e il massacro mediatico della Binetti, Franceschini che cerca di rimettere pace nel proprio gruppo, l'Udc che festeggia l'approvazione della propria proposta. Sono felice che sia andata così. Ogni discriminazione è sbagliata e da condannare, ma perché picchiare o molestare un gay deve essere una colpa maggiore rispetto a una donna o a un bambino? L'Art 3 della Costituzione viene ricordato solo quando conviene? Non siamo tutti uguali davanti alla legge? Vi ricordate di Rocco Buttiglione? Il presidente dell'Udc nel 2004 fu incluso nella lista dei commissari europei da Barroso. Ma i sinistri difensori della libertà personale misero Buttiglione sulla graticola perché aveva osato esprimere liberamente il proprio pensiero:
I bambini che hanno solo una madre e non hanno padre sono figli di una madre non molto buona. E i bambini che hanno solo un padre non sono bambini perché un uomo da solo può fare un robot. Ma non può fare bambini.
It seems to me that the dilemma caused by trying to separate faith from politics is greater than that of trying to combine them. In fact, fundamentally I believe that that dilemma is irresolvable. Separating them means the institutionalising of a kind of hypocrisy – a politician may appeal to his faith when standing for election, but cannot be held to it when making policy. The dilemma is no less resolvable for someone who arrives in public life with a secular philosophy.
Che ve ne pare? Per la libertà solo se corrisponde alla propria. Se un cattolico si permette di votare secondo coscienza si viene puntato come attentatore dei diritti altrui! Ma è peggio di un partito stalinista! La libertà è il diritto di ciascuno di esprimere le proprie idee e professare le proprie dottrine senza censura di alcun tipo. Così se io non impedisco a un omosessuale di fare quello che vuole, loro non devono criticare chi, come me, difende l'uomo e la natura.

lunedì 12 ottobre 2009

Meno male che Ferruccio c'è!

Bellissimo editoriale quello di stamattina di Ferruccio De Bortoli sul Corsera. Una dichiarazione di libertà e professionalità, che nel giornalismo di oggi sono state offuscate da personalismi e delegittimazioni morali. De Bortoli denuncia anche la bipolarizzazione selvaggia dei media: o stai con Berlusconi e oscuri le sue malefatte o stai contro Silvio e intervisti la D'Addario. Inimmaginabile invece che un giornalista faccia il proprio dovere seguendo un codice deontologico da non dimenticare mai. Scrive più in dettaglio:

Un giornale non è un partito. L’informazione è corretta se fornisce al lettore tutti gli elementi necessari per formarsi, in piena libertà e senza condizionamenti, un’opinione. Non lo è quando amplifica o sottostima una notizia chiedendosi prima se giova o no alla propria parte o al proprio pa­drone. Ed è quello che sta accadendo oggi: i fatti non sono più separati dalle opinioni. Sono al servizio delle opinioni. I lettori rischiano di essere inconsapevolmente arruolati in due trincee, dalle quali si danno vita a campagne stampa e raccolte di firme. Tutti liberi di farlo, naturalmente. A volte con qualche ottima ragione. Ma senza trattare poi coloro che non vi aderiscono come alleati di fatto del nemico o pavidi spettatori. Gli avvenimenti sono spesso manipolati, piegati alla bisogna. Trionfa la logica dell’attacco personale, della delegittima zione morale. C’è il regime in Italia, come scrivono alcuni giornali stranieri? No, e la pronuncia della Consulta lo dimostra. La libertà di stam­pa è in pericolo? Le querele sono gravi e da condannare, specie se vengono dal potere a scopo intimidatorio, ma il pluralismo c’è, nono stante tutto. Il premier deve rispondere alle domande? A tutte, anche alle più reiterate e innocue. Purtroppo, però, le regole di base di que sta professione sono saltate. Chi non si mette un elmetto e si schiera è un traditore o un venduto, non un professionista al servizio del proprio pubblico.

I fatti non sono più separati dalle opinioni. E chi (giustamente) desidera informare il lettore con obiettività e imparzialità senza influenzarlo viene visto con occhio torvo da entrambe le parti. Ma di chi è la colpa? Di Berlusconi che accusa la stampa estera e italiana di sputtanare il paese o di Repubblica che ha tirato fuori il sexygate del premier? Di entrambi, a mio avviso. Perché se Berlusconi fa male (anzi malissimo) a querelare i giornali che lo criticano, Scalfari e Travaglio non fanno certo bene a criticare un professionista validissimo come De Bortoli! Cito sempre quest'ultimo:

E veniamo all’editoriale di Eugenio Scalfari sulla Repubblica che ho trovato ingiusto e insultante. Mi dispiace molto. Scalfari ha letto la mia risposta di venerdì alle accuse del premier, manipolando le mie parole a suo uso e consumo. Lo considero profondamente scorretto. Il paradosso di tutta questa vicenda è che Repubblica ha fatto la sua campagna contro il premier con le notizie pubblicate… dal Corriere . Scalfari tenta di delegittimarmi moralmente perché non abbiamo seguito il suo giornale, querelato dal premier, e non siamo scesi in piazza sotto le bandiere di un partito o di un sindacato. Sulle querele ho già detto quello che penso. Ed Ernesto Galli della Loggia ha preso posizione sul Corriere sul fatto che le querele a Repubblica e all’ Unità fossero sbagliate e gravi. Ma dov’erano lui e il suo giornale quando gli avvocati di Berlusconi, Ghedini e Pecorella (da me chiamati avvocaticchi per le leggi ad personam e per questo condannato) mi citarono in giudizio? E dov’erano lui e il suo giornale quando D’Alema, allora al potere, se la prese con noi fino a proporre la mia cacciata dall’Ordine dei giornalisti? Li ho forse accusati, in quelle occasioni, di essersi accucciati al potere di turno? No, rispettai il loro ruolo, anche se di spettatori. Interessati. Devo andare avanti?

Già. Dobbiamo andare avanti? Quanto dovremo aspettare per riavere un'Italia normale? In cui i Tg non siano gossip ma informazione? Mi viene da dire, usando un po' di ironia, "meno male che Ferruccio c'è!"

venerdì 9 ottobre 2009

I volti nuovi della Destra nuova

La Destra nuova europea potrebbe (anzi avrà) i loro volti. Gli sguardi belli e intelligenti di Dora e David, i leader che hanno rivoluzionato i propri partiti. La prima, Dora Bakoyannis, già ministro degli Esteri greco e sindaco di Atene, è la più accreditata alla successione di Kostas Karamanlis, sconfitto sonoramente da Papandreou alle scorse elezioni, alla guida di Nea Democratia, il partito conservatore ellenico. Sarebbe un'occasione storica: la prima donna a guidare un partito che sembra essere ancora quello ideato e immaginato dall'Etnarca Karamnlis il vecchio. Grazie alla sua spigliatezza e alla propria esperienza, Dora potrebbe finalmente rinnovare il proprio partito e lanciarlo alla rincorsa del PASOK, che ha vinto le elezioni proprio grazie alla sua capacità di interpretare le istanze di rinnovamento greche. L'altro volto, quello di Cameron, ha invece la gioia del (quasi) campione. Perché, il super favorito delle prossime elezioni inglesi è proprio lui. Ieri ha chiuso il congresso dei Tory in modo eccezionale. E' stato salutato dai media e giornali di tutto il mondo come "il Blair di Destra". Sul Daily Thelegraph è stato addirittura indicato come l'AntiObama:

President Obama’s naïve and weak approach to international affairs threatens to usher in the biggest decline of American global power since the days of Jimmy Carter, and has created a distinct leadership vacuum. In contrast, the next British Prime Minister should seek a resurgence of British power, with a foreign policy that projects pride and confidence in Britain’s great and distinguished past, as well as a firm commitment to the transatlantic alliance. David Cameron must reject the folly of the Obama doctrine and follow the example of Winston Churchill, Margaret Thatcher and Ronald Reagan in advancing real international leadership.

All'approccio debole in politica estera di Obama (che pure gli è valso il premio nobel per la pace) si dovrebbero contrapporre i muscoli di David, si legge nell'articolo. Anche la stampa italiana dedica ampio risalto alle capacità del leader tory:
"Cameron è veramente un rivoluzionario?" si chiede l'ultimo numero del settimanale The Spectator, organo dell'intellighenzia conservatrice. Molti ne dubitano, incerti se dare la colpa alla mancanza d'esperienza politica o di convinzione. Certo, a giudicare dalla scelta dell'anglopakistana Sayeeda Warsi come consigliera per la coesione sociale e dal gay village allestito all'interno del congresso di Manchester, il partito è cambiato tanto rispetto a quando criticava l'immigrazione e ignorava l'universo omosessuale. Una svolta a sinistra riconosciuta perfino dal columnist dell'antagonista New Statesman, Steve Richards: "Cameron ha saputo aggiornare i valori del partito meglio dei laburisti. Conciliando la qualità della vita con la tradizione cooperativa, il climate change e i tagli di spesa necessari, ha portato sulla scena il conservatorismo progressista". Eppure, l'etichetta di Blair della destra potrebbe non essere sufficiente.
Ha chiuso il congresso coniando un nuovo motto: You made it happen! Lo hai fatto succedere!. Sulla falsa riga di Yes, we can ma con una accezione diversa, più forte. Ecco perchè può essere l'AntiObama. O forse può essere la sua sponda e contro copia in Europa. Resta solo da vedere se riuscirà, davvero, a raccogliere la pesante eredità della Thatcher. E se, insieme a Dora, riuscirà ad aprire un corso nuovo per la Destra.

martedì 6 ottobre 2009

E Dario copia Jelloun...

Bel discorso quello di Franceschini ieri a Genova. Parole d'ordine: gioventù e immigrazione. A un certo punto il candidato segretario per esemplificare al meglio la propria visione di integrazione possibile cita un aneddoto personale:

"Un amico, Andrea Causin, mi ha raccontato di suo figlio Giovanni che ha appena cominciato la materna e che non fa che parlargli del suo nuovo amico Stephen. Quando è andato a prenderlo in classe gli ha chiesto: chi è Stephen? Giovanni ha risposto indicandolo: "quello con la maglietta azzurra". Non quel bambino di colore, della Costa d'Avorio ma quello con la maglietta azzurra. E' nelle scuole che è già cominciata l'Italia di domani. E' nelle scuole che un futuro di convivenza e incontro fra culture si sta costruendo ogni giorno. Là dove bambini pachistani, magrebini, albanesi e cinesi imparano l'alfabeto assieme, dividono lo stesso banco e gli stessi giochi. Non dobbiamo avere paura. Preoccupati per i voti e il consenso troppo spesso siamo finiti ad inseguire la destra mostrandoci soltanto un po' meno severi o un po' più solidali".
Belle parole, niente da ridire. O quasi. Perché l'aneddoto ne ricorda (più che) vagamente un altro letto nel libro "Il razzismo spiegato a mia figlia" di Tahar Ben Jelloun, lo scrittore franco-marocchino. Per chi possedesse l'edizione accresciuta "PasSaggi di Bompiani" come ce l'ho io, basta andare a pag. 91. Dove si legge testualmente:

Il signor Jean Marc Lusher di Ginevra mi scrive:

"Stavo tornando dall'asilo con Camille. Camille ha tre anni e mezzo. Quel giorno era contentissima perchè si era molto divertita con Blaise.

'Bene...e chi è questo Blaise, qual è dei tuoi compagni?'

'Lo sai, è quello con il maglione rosso.'

'No, non mi viene in mente. Come è fatto?'

'Non so...ha un maglione rosso!'

Senza insistere oltre, aspetto l'indomani, quando uscendo dall'asilo, chiedo a Camille di farmi vedere il suo amico Blaise. Lei me lo indica. Ha ancora il maglione rosso. Effettivamente ha un'aria simpatica, e mi fa un largo sorriso. Quel sorriso luminoso che rischiara la faccia nera dei piccoli africani!".

Solo io noto una somiglianza spaventosa tra i due fatti? Ma dico, prima di scrivere certe cose, i gosthwriter non dovrebbero informarsi a dovere? E quello che più mi fa ridere, è che appena Dario ha detto quelle parole tutta la sala è esplosa in un applauso caloroso. Nessuno si è accorto del "plagio". Compreso il giornalista del Tg1 delle 20 che lo ha anche inserito nel servizio. Chissà cosa plageranno la prossima volta. Vuoi scommettere che prendono un passo dal libro "L'Italia che ho in mente" di Silvio Berlusconi?


lunedì 5 ottobre 2009

Vogliono far cadere Berlusconi. Finalmente!

Oggi Vittorio Feltri sbatte un titolone enorme sulla prima del Giornale: "Questo è un golpe. Difendiamoci". Non è certo la prima volta che si agita lo spauracchio di elezioni anticipate, ma il mastino Vittorio stavolta ne è certo: dietro al mega risarcimento di 750 milioni di euro comminato a Fininvest, si nasconderebbe un piano eversivo giostrato da Sinistra e Poteri Forti per sostituire Berlusconi. Terrore più che comprensibile se si somma la multa stellare al successone della manifestazione per la libertà di stampa e al fatto che domani che la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Roberto Arditti sul Tempo non esclude la possibilità di un prossimo ritorno alle urne e invita il Centrodestra a mobilitarsi in questo senso. Stesso discorso da parte del Foglio che prospetta gli scenari futuri conseguenziali a un'eventuale bocciatura del Lodo salvapremier, dentro e fuori il Pdl. Ad agitare le acque ci si mette anche Rutelli che sogna "un governo del presidente non politico", preludio a alleanze di nuovo conio. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quaglierello pensano allora alle contromosse: "Pronti a scendere in piazza per Silvio", mentre Minzolini, in barba all'imparzialità del TG1, ha preso la parola per definire "incomprensibile" il motivo della manifestazione del 3 ottobre. E poi mi si dice che le televisioni sono bipartisan... Non so se dietro queste mosse ci sia davvero una manovra eversiva. Potrebbero essere solo illazioni. Di certo uno scenario come questo aiuterebbe di molto il progetto del Grande Centro, mettendo in moto il Partito del Buonsenso. In quel frangente il Partito della Nazione svolgerebbe un ruolo clou: allargati i propri gruppi parlamentari influirebbe fortemente sulla scelta del Presidente di Transizione. Chi vive vedrà.

domenica 4 ottobre 2009

La tragedia senza senso

La tragedia di Messina non ha e non può avere alcun alibi plausibile. 22 morti e 40 dispersi sono numeri inaccettabili e che qualsiasi democrazia moderna dovrebbe aborrire e rifiutare. Perché se Giampilieri o Scaletta Zanclea si ritrovano a piangere le loro vittime è solo colpa di un' Italia che non funziona. Solo 6 mesi fa scrivevo dell'altra grande catastrofe naturale nostrana, quella che ha colpito l'Abruzzo la notte del 6 aprile. Anche allora usai toni e parole dure: "Perché gigantesche strutture che dovrebbero essere sicure sono diventate trappole mortali per centinaia di persone? La risposta, purtroppo, è semplice e terribile allo stesso tempo: in Italia le leggi antisismiche sono rispettate da pochissimi costruttori, che preferiscono avvalersi di condoni e furbate varie, come l’ultima, attuata il 30 dicembre 2008, quando nel decreto mille proroghe fu aggiunto un comma che spostava al 2010 l’entrata in vigore delle nuove norme antisismiche. Una furbata che non avrebbe impedito la catastrofe abruzzese, ma potrebbe provocarne altre. Di tutte le immagine trasmesse in televisione, in questi drammatici giorni, infatti, è una quella che colpisce e ferisce più di ogni altra: quella di un mondo che non sembra mai voler diventare migliore, di un mondo di appalti vinti in modo illecito, delle case costruite da far schifo, degli arraffoni, del cemento armato che si sbriciola come un biscotto. Le immagini, quindi, di un sistema insensato. Dove l’interesse di pochi spregiudicati costruttori vale molto di più della vita di migliaia di persone, dove gli edifici che dovrebbero fungere da punto di riferimento in caso di emergenza, come gli ospedali o il palazzo del Governo, sono stati i primi a crollare". Quando scrissi quelle parole dure, dettate dall'angoscia e dal dolore, mi augurai di non doverlo fare mai più, o almeno, non troppo presto. E invece mi ritrovo a provare quelle stesse, terribili emozioni. E per giunta nella mia amata terra. E le domande rimangono sempre le stesse: perché? Perché gli Uffici preposti hanno lasciato che si costruisse in una zona classificata con il massimo del rischio? Perché era allo studio una proposta per condonare quegli abusivismi? Era proprio necessaria una tale tragedia per aprirci gli occhi su una realtà nota e allo stesso tempo ignorata? Non ci sono risposte. Le autorità preferiscono trincerarsi dietro un silenzio senza senso e dietro le solite promesse. E soprattutto perché nessuno accenna alla possibilità di indire il lutto nazionale? Non siamo tutti Italiani? O lo siamo solo quando conviene? Davanti a domande retoriche come queste, che esprimono tutto l'interesse delle autorità per la Sicilia, resta solo il silenzio. Un assordante silenzio.

venerdì 2 ottobre 2009

Ma i programmi serali non sono indecenti?

Ieri Annozero, la trasmissione di Michele Santoro ha registrato il 28 per cento di share, inchiodando oltre 7 milioni di persone sul teleschermo di Rai Due e bissando alla grande il successo della scorsa settimana, quando l'Auditel segnò il 22 per cento di ascolti. Un eccellente risultato per la combriccola guidata da Santoro, che in questi giorni, aiutato scioccamente secondo me anche dai giornali di centrodestra, ha calcato benissimo le vesti di Martire per la libertà di stampa. Devo dirvi che ho visto entrambe le puntate, e sono d'accordo con chi ha voluto difendere la messa in onda del programma: la libertà di stampa e di parola va difesa, sempre e comunque. Soprattutto quando, oltre che solo libertà, diventa necessità di informazione. Conosciamo le polemiche che si sono susseguite prima di ieri sera: i fedelissimi mastini berlusconiani si sono prodigati a bollare come "scabroso e vergognoso" il fatto che una escort (o prostituta come la si vuole chiamare) potesse essere intervistata durante la trasmissione. "Il servizio pubblico dovrebbe fare comunicazione nei limiti della decenza sopportabile dal Paese: temo che questo limite sia stato superato da un po' di tempo. Siamo nella palese indecenza" ha dichiarato Renato Schifani. Reputo il presidente del Senato un uomo intelligente, ma la sua frase suona come un insulto vergognoso a chi come me, pensa che le vere indecenze siano certi programmi preserali che vanno in onda a reti unificate. Lunedì scorso, all'Infedele di Gad Lerner, hanno replicato un bellissimo documentario dal titolo "Il Corpo delle Donne", un viaggio di 25 minuti all'interno della nuova questione femminile: le donne, e molto più spesso le ragazze, vengono viste solo come una merce di scambio. Più tette più soldi, è questa la nuova equazione televisiva. E ciò che è più grave, è che questo nuovo modello sociale e di vita viene proposto ogni sera, come quotidiana catechesi, alle famiglie che mangiano riunite difronte la Tv. Vali solo se appari, non se sei. Sei bella? Approfittane! Magari usa un po' di chirurgia estetica per correggere qualche difetto fisico, e poi via su una passerella. E indovinate un po' su quali rete abbondino queste trasmissioni? Il Grande Capo sa come stimolare il proprio popolo. Questo è talmente assuefatto alle bellezze in vendita ogni giorno, da bollare poi come normale e naturale il fatto che il Presidente del Consiglio riceva in casa proprie delle prostitute e le ricompensi poi con favori e candidature. Ma forse, i sette milioni di telespettatori che hanno voglia di informazione sono la riprova che qualcosa sta cambiando. L'Anno Zero di Berlusconi si sta, finalmente, avvicinando.