mercoledì 12 maggio 2010

Conservare e innovare, si può fare

L’ottimo sito Scenari Politici ha pubblicato ieri un interessantissimo sondaggio sul voto politico italiano diviso per fasce sociali e occupazionali, utile per leggere a fondo le ultime evoluzioni del nostro quadro politico. Dal sondaggio emerge che il Centro destra è in netto vantaggio tra gli agricoltori, gli artigiani e i lavoratori autonomi; in misura minore tra operai, casalinghe, pensionati, dirigenti e professionisti; il Centro sinistra, invece, va forte tra gli impiegati, più nel pubblico che nel privato, e bene anche tra gli studenti; mentre il nostro partito, l’Udc, conquista una discreta fetta di consensi tra gli agricoltori, gli artigiani, le casalinghe e i pensionati (categorie queste da sempre vicine alle istanze cattolico democratiche) e ottiene, non senza fatica, un 6 per cento tra gli studenti, in linea con il dato nazionale finale. Male invece tra i disoccupati, gli impiegati pubblici e privati, i dirigenti e i professionisti (con un dato oscillante tra il 4 e il 5 per cento). Analizzando quindi il dato è chiaro che il core business resta sempre quello di derivazione Dc: forte al Sud, specie nei piccoli Comuni a trazione agricola e vicino ai contadini e agli agricoltori. Ormai che la nascita del Partito della Nazione sembra essere alla porte, questo sondaggio può essere fonte di ispirazione critica per la costruzione del nuovo partito. Casini lo ha presentato dicendo che bisogna rivolgersi “a tutti quegli italiani che vogliono starci. Il resto non ci interessa. C’è bisogno di ricostruire un sentire comune tra tutti gli italiani, c’è bisogno di una grande pacificazione nazionale e di proposte di buon senso. Non c’è da conservare l’esistente, ma c’è da cambiare”. Ora, il cambiamento è sempre una pratica auspicabile, ma rischia di diventare ambigua se non gestita correttamente. Che vuol dire cambiare? E soprattutto, può il cambiamento combinarsi e armonizzarsi con la conservazione? Secondo me, sì. Non vedo perché la nascita del nuovo partito debba essere per forza sinonimo di rimozione: il nostro compito, in questa delicata fase di gestazione, deve essere quello di preservare il nostro patrimonio culturale e politico e farlo confluire in un quadro più ampio e importante. Non serve a nessuno nascondersi dietro un dito: l’Udc è un partito centrista e democristiano che ha a lungo percorso il luminoso sentiero del popolarismo sturziano e degasperiano. Oggi leggevo di alcuni volontari che quasi “auspicavano” (mi sia concesso dirlo) un abbandono del simbolo dello Scudo Crociato, visto come un’“eredità che certe volte è troppo ingombrante e troppo limitante”. Non è affatto così, perché quel simbolo non significa solo democristianità, ma rappresenta valori e ideali politici che non possiamo permetterci di buttare a mare! Ho letto anche di chi definiva Don Luigi Sturzo un grande statista, ma ormai passato. Sicuri? Basta leggere qualcosa dei suoi scritti per rendersi immediatamente conto che non è così, che le riforme che il sacerdote calatino propugnava quasi cento anni fa sono quanto di più attuale possa esistere. Scuola, società, politica, regioni: l’Italia di Don Luigi potrebbe essere un’Italia cento volte migliore di quella di oggi e di quella che una parte dei nostri governanti vorrebbe disegnare. Perché, come non si stanca mai di ripetere il filosofo Dario Antiseri, don Sturzo è stato il pensatore cattolico-liberale più luminoso e acuto del nostro secolo, non adeguatamente studiato e approfondito. Farò una proposta controcorrente: riscopriamolo e riacquistiamo i suoi insegnamenti, attualizzandoli e valorizzandoli. Senza dimenticare lo sguardo al futuro. Per questo, rapidamente e umilmente, tenterò di tracciare una road map del da fare. Prima di tutto, se vogliamo davvero diventare maggioranza, dobbiamo radicarci sul territorio: l’Udc può infatti contare su un discreto numero di truppe, spesso guidate, però, da generali opportunisti. Ce ne siamo resi conti chiaramente alle ultime elezioni regionali: non appena si fa una scelta diversa e rischiosa, sono in molti quelli a salutarci. Serve quindi un ritorno tra la gente, con i porta a porta, i comizi di un tempo, le sezioni fortemente strutturate e la produzione di proposte serie, concrete e realizzabili (capaci di conquistare non solo gli agricoltori, ma anche e soprattutto la classe media). Secondo: aprirci alle varie realtà dell’associazionismo laico e cattolico. Terzo: superare definitivamente la forma partito UDC che abbiamo conosciuto finora; ormai è un limone spremuto, più di questo non può dare. Se si continua a procrastinare la nascita del nuovo partito di Centro, saremo condannati alla sconfitta perpetua: ecco perché spero che Todi sia davvero l’inizio di un cammino rapido e proficuo. È da più di un anno che si parla del fatidico congresso che segnerà il compimento della Costituente di Centro. Ma ogni volta che la data fissata si avvicina, questa scivola lentamente e inesorabilmente: prima era stato annunciato per dicembre dell’anno scorso, poi è passato ad Aprile di quest’anno, ora è fissato per il prossimo autunno. L’Udc può rappresentare, l’embrione, il punto da cui ripartire per costruire un nuovo partito, moderno ed europeo, occupando uno spazio che vada da Fini a Follini, passando per Tabacci, Rutelli, Pisanu, Dellai e Fioroni. Ma un partito così ha senso se riesce non tanto a staccare correnti o pezzi di nomenklatura ai partiti maggiori, quanto a raccordarsi con i settori poco rappresentati nella politica attuale. Con i lavoratori dipendenti stanchi di essere superati in autostrada dai Suv degli evasori cui pagano le medicine e le scuole ai figli, indignati con un governo pronto a varare condoni e scudi vari e delusi da una sinistra che nel 2006 aumentò l’aliquota Irpef proprio al ceto medio dipendente; con i giovani professionisti delusi da una politica gerontocratica e gerontofilia, incapace di ascoltarli; con le famiglie, numerose e non, al centro di continui proclami e spot, rimaste in attesa del miraggio del quoziente familiare. Il nuovo partito dovrà essere quindi in grado di stipulare un’alleanza forte e coerente con i ceti e le categorie che rappresentano la vera ricchezza d’Italia e che invece non sono adeguatamente rappresentate. Molti italiani trarrebbero vantaggio da una politica che premiasse il merito e imponesse la responsabilità, che riconoscesse i diritti e facesse rispettare regole e doveri. Quarto e ultimo: valorizzare le nostre energie giovani, fuori da vecchi e superati schieramenti partitici e ideologici, ma capaci di attualizzare e valorizzare le nostre idee e i nostri valori guida. Perché, non dimentichiamocelo mai, si può conservare e innovare, senza che uno escluda l’altro.

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