Portare Internet dentro la Costituzione italiana, sarebbe una vera e propria rivoluzione copernicana. In un momento in cui molti parlano (spesso a proposito) di ammodernare la nostra Carta costituzionale, modificando l’ordinamento della Repubblica o inserendo propositi federalisti, sono convinto che una proposta del genere vada senza dubbio supportata: certo, bisogna valutare con grandissima attenzione come ammodernare i vecchi principi (specialmente in materia di manifestazione del pensiero e fruizione del patrimonio informativo e culturale), evitando di inserire norme destinate ad essere superate rapidamente. Una Costituzione è lo specchio di una società: lo era sessanta anni fa e lo è anche oggi. È innegabile però che l’Italia del 2010, globalizzata e moderna, sia assai diversa da quella del 1948, ancora contadina e appena uscita dalla guerra: siamo cambiati notevolmente e non si può negare che l’avvento delle nuove tecnologie abbia determinato trasformazioni che non hanno eguali nella storia recente. Scopo di questa proposta, è quello di favorire un accrescimento e un conseguente miglioramento del numero di libertà fondamentali garantite dallo Stato italiano.
giovedì 1 luglio 2010
E se si “costituzionalizzasse” il libero accesso a Internet?
martedì 22 giugno 2010
Vivissimi e reiterati applausi!
«Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questaAssemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica ditutto quanto è avvenuto. (Vivissimi e reiterati applausi — Molte voci: Tutti con voi! Tutti con voi!) Se le frasi più omeno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda; se il fascismo non è stato che olio diricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! (Applausi).Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (Vivissimi eprolungati applausi — Molte voci: Tutti con voi!)»Benito MUSSOLINI, Discorso del 3 gennaio 1925(da Atti Parlamentari – Camera dei Deputati – Legislatura XXVII – 1a sessione – Discussioni – Tornata del 3 gennaio 1925Dichiarazioni del Presidente del Consiglio)
mercoledì 16 giugno 2010
Ora si faccia pulizia. Seria.
Al di là dell'accertamento dei fatti, che ci auguriamo avvenga al più presto - afferma Cesa in una nota - la condotta morale tenuta da Salvatore Cintola, che già da tempo con le sue scelte politiche si era di fatto collocato fuori dall'Udc, appare incompatibile con i valori dell'Unione di Centro e rende improponibile la sua permanenza nel nostro partito.Come si vede da questa vicenda - conclude Cesa - facciamo bene a difendere la possibilità dei magistrati, in collaborazione con le forze di polizia, di avvalersi delle intercettazioni, che sono uno strumento fondamentale per la lotta alla criminalità.
Parole sante quelle di Cesa, finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di pronunciarle. Ora si faccia pulizia. Seria.
Se davvero si vuole costruire un nuovo partito e se davvero si vuole cominciare a fare una nuova politica che abbia come unico interesse il bene della Nazione allora è giunto il momento di smettere di auto assolversi e di difendere l’indifendibile e di essere uomini e donne con la schiena dritta che sanno pronunciare coraggiosi e chiarissimi “no” che hanno il coraggio di decisioni limpide e forti. Forse si perderà qualche voto del ras di turno, ma si guadagnerà certamente in credibilità e forse il voto di tutti quei liberi, forti e giusti che in questo momento attendono una nuova possibilità di tornare a fare politica, di tornare a servire il Paese.
Update/1: Fantastico Adriano Frinchi su Estremo Centro Sicilia.
martedì 15 giugno 2010
I understand HOW, I don’t understand WHY
Se io, Giuseppe Portonera, studente, dico a mia madre che per cena voglio un panino al salame e non al prosciutto o se confesso di essermi innamorato, voglio che questo resti privato. Tra me, semplice cittadino, e il mio interlocutore, stop. Ma se per caso (per assurdo) io non fossi più io, ma un onorevole deputato della Repubblica e dovessi essere intercettato mentre discorro amichevolmente con un noto boss locale o mentre stipulo alleanze e contratti assai torbidi con importanti pezzi del mondo affaristico, quella discussione non può più restare privata. Perché io non sono deputato al Parlamento per rappresentare me stesso e i miei intrallazzi, ma perché rappresento gli interessi della mia gente. Non appena instauro questo rapporto intersoggettivo tra me e i miei elettori, allora non posso avere più segreti: deve essere un mio irrinunciabile compito garantire la massima trasparenza del mio modo di agire. A quel punto, di cosa dovrei aver timore?
venerdì 11 giugno 2010
Without words
Per esprimere al meglio quanto grande sia la mia disillusione e demotivazione a seguito dell’approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni, voglio raccontarvi la mia settimana in tre momenti.
Primo momento. Sabato scorso ho firmato, in una libreria Feltrinelli, l’appello contro la “legge bavaglio”. L’ho fatto, da moderato, in un luogo storicamente di sinistra perché, lo dico chiaramente, questa legge mi fa orrore. E non lo dico per partito preso o perché antiberlusconiano: lo dico da semplice cittadino di uno Stato liberale, consapevole che una legge tale, seppure con lo scopo dichiarato di difendere il diritto alla privacy di ciascuno di noi (?), finirebbe solo per renderci tutti meno liberi, privati della possibilità di conoscere per tempo gli scandali e le illegalità di cui si macchiano i nostri potenti. Lo dico da ragazzo sedicenne che ha ancora voglia di credere che un’Italia migliore sia ancora possibile, dove il popolo possa riscoprire l’entusiasmo per i propri amministratori, senza però perdere la possibilità di poterli controllare anche dopo averli votati. Lo dico, lo scrivo, ma mi ritrovo con una delusione amara.
Secondo momento. Fino a mercoledì scorso, riponevo ancora molte speranze nel cosiddetto gruppo dei finiani, specie dopo l’annuncio del voto di fiducia. Ero convinto, sotto sotto, che il gruppo di Gianfranco Fini avrebbe lottato fino alla fine e che, visti le decine di appelli alla legalità e all’onesta, si sarebbe rifiutato di votare una porcheria simile. E invece, anche adesso, mi ritrovo con un palmo di becco. Unica consolazione: sapere che il braccio intellettuale di Fini (Fare Futuro) e un deputato mio conterraneo che stimo molto (Fabio Granata) hanno ammesso che questa legge non può proprio essere digerita. Almeno loro. Altra consolazione (e motivo d’orgoglio)? Le parole del presidente Casini (“questa legge non mi piace”) e l’annuncio del voto contrario dell’Udc. Spero almeno che questa vicenda possa essere la pietra tombale sulla possibilità di riaccendere i rapporti con il Centro destra: almeno con questo Centro destra a trazione berlusconian-leghista.
Terzo momento. Oggi. Ho una specie di senso di vuoto. Stamattina sono uscito a comprare il giornale e, come ogni venerdì, ho preso La Repubblica: sono stato qualche secondo a fissare la sua copertina bianca. Il “semplice” post-it giallo era più eloquente di qualsiasi editoriale, commento o appello. La frase “la legge bavaglio nega il diritto di essere informati” mi si è scolpita in mente e nel cuore e, sebbene inizialmente mi abbia fatto constatare quanto fossimo scesi in basso, mi ha poi fatto capire che ora è il nostro turno. Il turno di ogni semplice cittadino, sia esso di destra, di centro, di sinistra o anarchico. Purché abbia come propria stella polare la legalità e il rispetto delle regole. Sono tornato a casa, ho acceso il computer e ho fatto tutto quello che era in mio potere: cambiando la foto e lo stato personale del mio Facebook e scrivendo questo pezzo. Ho esercitato, nel mio piccolo, il diritto ad oppormi a una legge che non condivido e che rigetto. Finché posso ancora farlo.
mercoledì 12 maggio 2010
Conservare e innovare, si può fare
L’ottimo sito Scenari Politici ha pubblicato ieri un interessantissimo sondaggio sul voto politico italiano diviso per fasce sociali e occupazionali, utile per leggere a fondo le ultime evoluzioni del nostro quadro politico. Dal sondaggio emerge che il Centro destra è in netto vantaggio tra gli agricoltori, gli artigiani e i lavoratori autonomi; in misura minore tra operai, casalinghe, pensionati, dirigenti e professionisti; il Centro sinistra, invece, va forte tra gli impiegati, più nel pubblico che nel privato, e bene anche tra gli studenti; mentre il nostro partito, l’Udc, conquista una discreta fetta di consensi tra gli agricoltori, gli artigiani, le casalinghe e i pensionati (categorie queste da sempre vicine alle istanze cattolico democratiche) e ottiene, non senza fatica, un 6 per cento tra gli studenti, in linea con il dato nazionale finale. Male invece tra i disoccupati, gli impiegati pubblici e privati, i dirigenti e i professionisti (con un dato oscillante tra il 4 e il 5 per cento). Analizzando quindi il dato è chiaro che il core business resta sempre quello di derivazione Dc: forte al Sud, specie nei piccoli Comuni a trazione agricola e vicino ai contadini e agli agricoltori. Ormai che la nascita del Partito della Nazione sembra essere alla porte, questo sondaggio può essere fonte di ispirazione critica per la costruzione del nuovo partito. Casini lo ha presentato dicendo che bisogna rivolgersi “a tutti quegli italiani che vogliono starci. Il resto non ci interessa. C’è bisogno di ricostruire un sentire comune tra tutti gli italiani, c’è bisogno di una grande pacificazione nazionale e di proposte di buon senso. Non c’è da conservare l’esistente, ma c’è da cambiare”. Ora, il cambiamento è sempre una pratica auspicabile, ma rischia di diventare ambigua se non gestita correttamente. Che vuol dire cambiare? E soprattutto, può il cambiamento combinarsi e armonizzarsi con la conservazione? Secondo me, sì. Non vedo perché la nascita del nuovo partito debba essere per forza sinonimo di rimozione: il nostro compito, in questa delicata fase di gestazione, deve essere quello di preservare il nostro patrimonio culturale e politico e farlo confluire in un quadro più ampio e importante. Non serve a nessuno nascondersi dietro un dito: l’Udc è un partito centrista e democristiano che ha a lungo percorso il luminoso sentiero del popolarismo sturziano e degasperiano. Oggi leggevo di alcuni volontari che quasi “auspicavano” (mi sia concesso dirlo) un abbandono del simbolo dello Scudo Crociato, visto come un’“eredità che certe volte è troppo ingombrante e troppo limitante”. Non è affatto così, perché quel simbolo non significa solo democristianità, ma rappresenta valori e ideali politici che non possiamo permetterci di buttare a mare! Ho letto anche di chi definiva Don Luigi Sturzo un grande statista, ma ormai passato. Sicuri? Basta leggere qualcosa dei suoi scritti per rendersi immediatamente conto che non è così, che le riforme che il sacerdote calatino propugnava quasi cento anni fa sono quanto di più attuale possa esistere. Scuola, società, politica, regioni: l’Italia di Don Luigi potrebbe essere un’Italia cento volte migliore di quella di oggi e di quella che una parte dei nostri governanti vorrebbe disegnare. Perché, come non si stanca mai di ripetere il filosofo Dario Antiseri, don Sturzo è stato il pensatore cattolico-liberale più luminoso e acuto del nostro secolo, non adeguatamente studiato e approfondito. Farò una proposta controcorrente: riscopriamolo e riacquistiamo i suoi insegnamenti, attualizzandoli e valorizzandoli. Senza dimenticare lo sguardo al futuro. Per questo, rapidamente e umilmente, tenterò di tracciare una road map del da fare. Prima di tutto, se vogliamo davvero diventare maggioranza, dobbiamo radicarci sul territorio: l’Udc può infatti contare su un discreto numero di truppe, spesso guidate, però, da generali opportunisti. Ce ne siamo resi conti chiaramente alle ultime elezioni regionali: non appena si fa una scelta diversa e rischiosa, sono in molti quelli a salutarci. Serve quindi un ritorno tra la gente, con i porta a porta, i comizi di un tempo, le sezioni fortemente strutturate e la produzione di proposte serie, concrete e realizzabili (capaci di conquistare non solo gli agricoltori, ma anche e soprattutto la classe media). Secondo: aprirci alle varie realtà dell’associazionismo laico e cattolico. Terzo: superare definitivamente la forma partito UDC che abbiamo conosciuto finora; ormai è un limone spremuto, più di questo non può dare. Se si continua a procrastinare la nascita del nuovo partito di Centro, saremo condannati alla sconfitta perpetua: ecco perché spero che Todi sia davvero l’inizio di un cammino rapido e proficuo. È da più di un anno che si parla del fatidico congresso che segnerà il compimento della Costituente di Centro. Ma ogni volta che la data fissata si avvicina, questa scivola lentamente e inesorabilmente: prima era stato annunciato per dicembre dell’anno scorso, poi è passato ad Aprile di quest’anno, ora è fissato per il prossimo autunno. L’Udc può rappresentare, l’embrione, il punto da cui ripartire per costruire un nuovo partito, moderno ed europeo, occupando uno spazio che vada da Fini a Follini, passando per Tabacci, Rutelli, Pisanu, Dellai e Fioroni. Ma un partito così ha senso se riesce non tanto a staccare correnti o pezzi di nomenklatura ai partiti maggiori, quanto a raccordarsi con i settori poco rappresentati nella politica attuale. Con i lavoratori dipendenti stanchi di essere superati in autostrada dai Suv degli evasori cui pagano le medicine e le scuole ai figli, indignati con un governo pronto a varare condoni e scudi vari e delusi da una sinistra che nel 2006 aumentò l’aliquota Irpef proprio al ceto medio dipendente; con i giovani professionisti delusi da una politica gerontocratica e gerontofilia, incapace di ascoltarli; con le famiglie, numerose e non, al centro di continui proclami e spot, rimaste in attesa del miraggio del quoziente familiare. Il nuovo partito dovrà essere quindi in grado di stipulare un’alleanza forte e coerente con i ceti e le categorie che rappresentano la vera ricchezza d’Italia e che invece non sono adeguatamente rappresentate. Molti italiani trarrebbero vantaggio da una politica che premiasse il merito e imponesse la responsabilità, che riconoscesse i diritti e facesse rispettare regole e doveri. Quarto e ultimo: valorizzare le nostre energie giovani, fuori da vecchi e superati schieramenti partitici e ideologici, ma capaci di attualizzare e valorizzare le nostre idee e i nostri valori guida. Perché, non dimentichiamocelo mai, si può conservare e innovare, senza che uno escluda l’altro.