Dopo lo PsicoDramma Pd e il Non Partito Pdl, arriva il post sull'Idv, il partito ad personam. Che da cespuglio centrista e moderato dell'Unione, s'è fatto partito di (estrema) sinistra, costruendo la propria parabola politica sull'antiberlusconismo e firmando una polizza assicurativa sull'elettorato estremista sfuggito al controllo del Pd e dei comunisti. Tutto è cominciato alle elezioni politiche del 2008, quando Veltroni (convinto allora di poter vincere davvero) aveva imbarcato Di Pietro e il suo partito, con la promessa di costituire poi gruppi unici in Parlamento. E invece l'Italia dei Valori vide salire i suoi consensi dal 2 al 4 per cento e dimostrò di poter formare un gruppo unico in Parlamento. L'inizio della fine: il magistrato ex mani pulite ha cavalcato l'onda dell'antiberlusconismo di bandiera e è riuscito a conquistare una buona fetta di voti Pd in uscita, arrivando all'8 per cento alle ultime elezioni europee. Da allora ha cominciato a intensificare i propri rapporti con quell'area, rappresentata da intellettuali come Paolo Flores D'Arcais, Marco Travaglio, Andrea Camilleri, Michele Santoro; ha aperto le proprie liste agli esponenti del nuovo movimento viola, candidando Luigi De Magistris, Sonia Alfano e Gianni Vattimo; si è addirittura posto in alternativa al Pd, minacciando di correre con propri candidati in Veneto, Calabria e Lombardia; i media fanno a gara per sostenerlo, come ci insegnano il Fatto e AnnoZero, MicroMega; fa a gara con la Lega per intercettare il voto rosso degli operai e ormai ha un vocabolo politico tutto suo, dipietrismo. Lui che l'Italiano (per sua candida ammissione) non lo sa nemmeno parlare. Ma sono davvero tutte rose e fiori nella storia del molisano Tonino? Pare proprio di no. Le contraddizioni interne al partito, che fra poco celebrerà il suo congresso, sono molteplici. Tutte messe in luce dai suoi grandi amici radical chic, che magari sognerebbero un Idv amministratrice unica e delegata a diffondere il sacro verbo antiberlusconiano. Lo pregano tutti di sciogliere il suo partito e di rifondarlo dalle basi, ancorandolo stabilmente a Sinistra e scacciando i vari amministratori locali che sono l'unica rete reale del partito. Molti se ne sono già andati: Pino Pisicchio, Giuseppe Astore, Giuseppe Giulietti, Bruno Cesario: si sono tutti trovati una più comoda casa centrista. Ma non abbiamo ancora finito: la lista è lunga. A fronte, infatti, di problemi giudiziario (come la vicenda del figlio del leder, Cristiano), ce ne sono anche di natura politica. Che posso mettere alla luce molto più semplicemente. Primo fra tutti: l'assoluta inconsistenza culturale e ideologica del partito. In Europa l'Idv infatti all'ALDE, il gruppo dei liberali e dei democratici. In poche parole, dei garantisti antilegalitari per eccellenza. E se in Italia Di Pietro urla tanto, in Europa il suo gruppo vota tranquillamente le varie richieste di immunità, spesso si trova in sintonia con il PPE (in cui siedono PDL e Udc) e, se qui da noi critica la presunta politica dei due forni, in Europa ha scelto il gruppo centrista per eccellenza che si offre ogni volta o ai popolari o ai socialisti del PSE. Mica male sotto il profilo della coerenza... Idem anche per l'inconsistenza reale del partito. L'Idv è cosa di Di Pietro, su questo non ci piove. Il congresso di cui ha parlato è una pura formalità: De Magistris è prontamente ritornato nei ranghi dopo aver paventato una sua possibile candidatura. Intanto, per prepararsi a questo appuntamento, Di Pietro non perde occasione per rilanciare il suo antiberlusconismo e per indossare l'elmetto e imbracciare il fucile. Attaccando quotidianamente Berlusconi che si fa gli affari suoi, Napolitano che è troppo istituzionale, Bersani che è troppo democratico. Mah! Piccolo consiglio personalissimo a Di Pietro: visto che il suo partito ad personam somiglia tanto al partito personale di Silvio, perché non lo rinomina Forca Italia? Suona bene, no?
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