Avatar è un film stupendo. Su questo mi sembra non ci possano essere dubbi: James Cameron ha impiegato talmente tanti effetti scenici e artifici cinematografici da imprimere nella mente di guarda il film l’impressione che il magico mondo di Pandora, ultima oasi verde eco sostenibile, esista veramente. E così si finisce per perdere di vista (è proprio il caso di dirlo) il contesto e il vero significato dell’opera. Tutta la trama ruota intorno al marine disabile Jake Sully che, grazie alle meraviglie tecnologiche, occupa il corpo di un altissimo alieno di oltre 3 metri e viene inviato sul mitico pianeta Pandora alla ricerca di un fantastico minerale. Inevitabilmente, però, sceglie di schierarsi dalla parte dei nativi ed abbraccia l’eco-fede degli abitanti di Pandora e le loro dee degli alberi, le “madri di tutto”. Insieme agli aborigeni e al contributo dell’ecosistema pandoriano, decide quindi di combattere per la difesa del pianeta contro le forze malvagie e colonizzatrici del suo stesso popolo umano. Ed ecco dove sta l’inganno: il messaggio che il film rischia di far passare è quello esclusivamente ecologista e eco-centrista. Molti critici, specie americani, infatti, hanno definito Avatar “un’apologia del peggior panteismo”. La critica, mossa da Ross Douthat sul New York Times, colpisce il segno anche se è stato John Podhoretz, sul Weekly Standard, a sottolineare un punto ancora più importante. “Cameron” dice Podhoretz “ha scritto Avatar non per essere controverso, ma proprio per raggiungere lo scopo opposto: ha cercato di compiacere il maggior numero possibile di persone”. Ovviamente, questo sembra essere assurdo: ma è proprio così. Tutto il pianeta Pandora è infatti una specie di gigantesco catalizzatore di energia vitale, di cui ogni creatura pandoriana si nutre, sempre tesa ad ascoltare il respiro silenzioso e profondo della natura nella sua totalità. E come un’anima da cui prendono forma i singoli organismi, così Pandora diventa la Grande Madre che lega le sue creature tra loro in un afflato universale. Con una connessione tra creature che in certi casi avviene addirittura in modo fisico, attraverso un’unione di energia e materia dei corpi che ha un che di sessuale e di mistico insieme. Molto suggestiva, ma anche molto criticabile. In un’epoca in cui le religioni ufficiali e tradizionali, infatti, sono vittime di attacchi continui e ingiustificati, si sta diffondendo una nuova sorta di spiritualità, spesso laica e materialista, che, imbevuta di dottrine filosofiche orientali, si propina all’umanità come modello efficace per trascorrere serenamente la propria vita. E in questo contesto si inscrive perfettamente l’ecologismo, che ha finito per confondere la giusta battaglia per il rispetto dell’ambiente con una vera e propria fede: molti ambientalisti cercano di mutuare la loro causa in un imperativo morale, proprio come i Na’Vi. E non è un caso che Al Gore insista tanto nel dire che il riscaldamento globale è “una sfida spirituale all’umanità” e che la campagna elettorale di Obama, caratterizzata da un fortissimo sentimento verde, si sia incentrata su una sorta di mistica attesa religiosa per il “cambiamento”. Vale allora ricordare le parole che papa Benedetto XVI ha pronunciato in occasione della Giornata mondiale della Pace: “la questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune”. Perché a salvarci non sarà certo l’esasperato eco-centrismo.
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