Qualche tempo fa il professore Franco Monaco, cattolico e ulivista prodiano della prima ora, scrisse un articolo molto polemico su l’Unità, bollando come questione “meramente politica”, e non ideologica e culturale, il grido d’allarme e la richiesta di maggiore attenzione lanciati dai cattolici sofferenti nel Pd. A detta del professore il Pd bersaniano avrebbe finalmente impresso una svolta decisava al proprio corso, superando le contraddizioni interne (derivanti dalla somma di identità spesso contrapposte) per raggiungere una visione politica comune e unitaria. Magari Monaco, pur di vedere realizzato il grande sogno di Romano Prodi, è disposto a sopportare la dura e inequivocabile realtà dei fatti. Ma noi no: il Pd italiano altro non è che una riedizione dell’apparato burocratico e gerarchico del Pds-Ds con qualche innesto popolare ex Dc. Naturale che i cattolici siano in sofferenza! La nostra irrilevanza è evidente e sotto gli occhi di tutti: solo al momento del voto sui delicati temi etici ci si ricorda di noi e tutti sono pronti a bollarci come clericali, servi del Vaticano e cose così irragionevoli e sciocche che non sto qui né a riportare né a commentare. Ma come è stato possibile cadere così in basso? Dopo la tumultuosa fine della Democrazia Cristiana e l’archiviazione della Prima Repubblica, i cattolici si sparpagliarono fra gli schieramenti (in questo spinti anche dal Card. Camillo Ruini, che lo riteneva un bene), finendo tra le grinfie ora di Berlusconi ora di Prodi, D’Alema o Veltroni. Condannati a fare da stampella o in alternativa all’insignificanza. La strada della divisione ha portato solo alla debolezza e all’emarginazione delle proposte politiche portate avanti dai cattolici. Ecco perché oggi bisogna proporre una nuova formula di unità per i cristiano democratici: non più dell’unità assoluta, ma neanche della frammentazione controproducente. A mio avviso è al progetto del primo Partito Popolare di Don Luigi Sturzo che dobbiamo guardare: non un partito confessionale e cattolico, ma aconfessionale e di cattolici, che riesca ad accogliere anche i laici più ragionevoli e che possa rappresentare al meglio anche le varie tendenze liberali e moderate. È questa la vera sfida della pluralità e della molteplicità, non certo quella portata avanti dal Pd: forse lo era nelle intenzioni, ma non certo nell’attuazione. Sentir parlare di posizione prevalente e libertà di coscienza fa sorridere se si pensa che i dirigenti democratici minacciano l’espulsione ogni volta che qualche deputato si permette di votare in modo difforme da quello che è l’ordine di scuderia. Oggi l’Udc, insieme a movimenti minori come la Rosa per l’Italia, i Circoli Liberal di Adornato e i Popolari di De Mita, ha messo in cantiere un processo costituente di riunione dei moderati, sia cristiani che laici, attuando quindi una nuova formula di unità, che supera di fatto il rigoroso puritanesimo cattolico della Dc, aprendosi ai moderati di varia estrazione, e proponendosi come casa accogliente in cui più nessuno dovrà vergognarsi di mostrarsi per quello che è veramente. I più guardano a questo processo con sufficienza, ma sono convinto che oggi più che mai un grande partito di centro moderno, liberale e popolare sia indispensabile. Per costruirlo, però, non basta l’Udc. Io credo (e temo), purtroppo, che gran parte dei cattolici sia afflitta da due grandi mali: l’immobilismo e la voglia di inglobamento. Il primo è sotto gli occhi di tutti: pur di non perdere le poltroncine e sgabelli vari, si è disposti a rinunciare alla propria autonomia e libertà. Il secondo, invece, è più latente, meno evidente. Io stesso me ne sono reso conto solo ultimamente, specie quando ho avuto modo di parlare con un consigliere comunale del Pd della provincia nissena. Questi mi ha raccontato di essere disponibile a lottare per la costruzione di un partito di Centro, ma solo se questo significa creare qualcosa di veramente nuovo, non un semplice allargamento dell’Udc con fini meramente elettorali. Ecco perché servono programmi, progetti e proposte, che siano seri, costruttivi e concreti. Uno di questi potrebbe essere l’attivazione di un tavolo a livello nazionale (con la possibilità di sezioni territoriali) dove nessuno debba dover rinunciare preventivamente alle proprie appartenenze politiche, dove il reciproco rispetto della legittimità delle altrui opinioni politiche sia il fondamento di una ricerca serena e costruttiva di soluzioni, il più possibile condivise, dirette al conseguimento del bene comune. Un tavolo caratterizzato dalla comunanza dei principi della Dottrina Sociale Cristiana e che possa riconoscersi nelle encicliche sociali come l’ultima Caritas in Veritate. Un luogo libero e franco, in cui lavorare insieme alle associazione culturali e alle varie espressioni del laicato e dell’associazionismo cattolico. Un tavolo da costruire subito, tutti insieme, per evitare di diventare servi inutili di un’idea politica sbagliata.
giovedì 31 dicembre 2009
Il posto dei cattolici nell'Italia di oggi
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