Lo sapevamo tutti. Inutile negarlo. Era scontato che il ritorno di Vittorio Feltri alla guida del Giornale nasceva da ragioni meramente politiche e non giornalistiche: via il debole peso leggero Mario Giordano e dentro il corazzato Feltri, uno che, francamente, il prodotto sa come venderlo. Il suo successo era cominciato con Tangentopoli, quando dirigeva L'Indipendente, che era riuscito a portare a oltre 100 mila copie cavalcando l'onda del malcontento e coniando il celebre soprannome "Cinghialone". Dopo, notato dalla grande stampa nazionale, fu chiamato a prendere il posto del grande maestro Indro Montanelli al Giornale e da lì, dopo la parentesi di Libero, è ritornato al giornale della famiglia Berlusconi. E perchè? Ovvio, per poter difendere meglio il Grande Capo Berlusconi. E tutti eravamo convinti della politica aggressiva che avrebbe messo in atto contro i censori moralisti del Principe delle Libertà. Ma mai (almeno io) ci saremmo potuti immaginare che il bersaglio più colpito e in modo più infamante potesse essere Dino Boffo, direttore dell'Avvenire. Certo, era scontato che a Berlusconi non fosse andato giù il malcontento del mondo cattolico espresso sulle pagine del quotidiano Cei, ma arrivare a infangare il nome di un uomo solo basandosi su informative spacciate per vero e che invece solo solo emerite patacche, questo non è accettabile. Ed è inutile che il Cavaliere si dissoci dall'attacco, perchè lo sappiamo tutti che dietro il direttore del Giornale c'è lui. I due insieme sono una macchiana da guerra distruttiva: Feltrusconi pur di salvare se stesso, sarebbe pronto a uccidere gli altri. Tutti colpevoli, nessun colpevole? Assolutamente no. Quello di Feltri è sciacallaggio giornalistico, contro ogni norma del codice deontologico di un buon giornalista. So che molti di voi si chiederanno perchè con Berlusconi sì e con Boffo no. E' ovvio, fin troppo chiaro. Il privato è pubblico, ma il pubblico non può essere privato.
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