venerdì 27 novembre 2009

Tear down this wall!

Di seguito l'editoriale che ho scritto per il giornale scolastico
del Liceo Classico Gorgia "Omega"

Chi lo avrebbe mai detto che quella notte il Muro sarebbe caduto davvero? Chi lo avrebbe mai detto che il simbolo più evidente e tragico della Guerra Fredda, alla fine, si sarebbe sbriciolato come un castello di carte? E chi sarebbe mai stato pronto a giurare che dopo la notte del 9 novembre 1989 tutto in Europa sarebbe andato incontro a un’inesorabile e irreversibile trasformazione? Il Berliner Mauer era prima di tutto una certezza: quella, cioè, che Occidente democratico e Est comunista non si sarebbero mai potuti mettere d’accordo e che finché uno dei due non sarebbe riuscito a prevalere sull’altro, Berlino sarebbe stata condannata a rimanere spaccata in due. Di là i rossi, di qua i moderati. Senza possibili vie di mezzo. Guai ad immaginare il confronto e lo scambio libero tra le due parti: sarebbe equivalso a una sconfitta dell’ultima parte (autorizzata però dagli altisonanti, vacui, indefiniti e burocratici accordi di pace) di autoritarismo antiliberale nel cuore dell’Europa. Per quasi trent’anni nessuno sembrò essere in grado di rovesciare quell’assurdo e sconcertante dato di fatto: il timore di una terza guerra mondiale, a base di bombe nucleari, era troppo forte anche per i più solidi paladini della libertà. Tutto sembrava perduto, fino a quando due grandi presidenti americani, JFK e Ronald Reagan, non ebbero il coraggio e la forza di sfidare quella paura. E ne ebbero ragione: l’entusiasmo che le loro parole infusero nell’impaurita e opaca Mitteleurope fu tale da garantire una rinascita intellettuale, culturale e morale che qualche anno dopo porterà al crollo del Muro e al tracollo dell’utopia comunista. Alzi la mano chi non ha mai sentito le straordinarie e meravigliose frasi di entrambi: “Ich bin ein Berliner!” e “Tear down this wall!”. Rappresentano due modi diversi di trovare una soluzione al problema (probabilmente influenzata dalla diversa concezione politica) ma allo stesso modo efficaci e potenti. Se davvero qualcuno non le ha mai sentite vada su Youtube e le ascolti, tutte e due, una dopo l’altra: sentirà l’entusiasmo e l’euforia incontenibile di un popolo rinato a vita nuova, che armato di picconi, martelli o solo con le semplici mani, è riuscito a trasformare una comune, fredda e gelida notte di novembre nell’inizio di una nuova era. Ma ora, dopo 20 anni, che effetto fa a dei ragazzi che non hanno mai conosciuto il Muro vedere quei momenti e quelle foto? Cosa sente, quindi, un giovane della “post generation” di fronte al suo ricordo? Noia? Entusiasmo? Indifferenza? Tutte queste cose insieme? Abbiamo provato anche noi a dare una risposta a questa domanda, chiedendo ai diretti interessati. E abbiamo avuto risultati molto, molto interessanti. Su un campione di 100 intervistati, infatti, ben 73 persone sapevano che quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dalla caduta, mentre solo il 20 per cento ricordava che il Muro cadde durante il mese Novembre. La maggior parte di loro, invece, ha detto di considerare la caduta del Muro un importante avvenimento per la storia dell’Europa, mentre solo una minima parte la considera un evento ininfluente per il Vecchio Continente. Novanta intervistati su cento hanno assicurato di aver visto almeno una volta nella vita una foto di quella magica notte e il 70 per cento degli intervistati ha scelto l’aggettivo “entusiasmante” per definirla, mentre il 20 per cento ha scelto “bella” e solo il 10 l’ha definita “inutile”. Questa piccola carrellata di dati ci spinge a fare qualche riflessione più profonda per confrontarci seriamente con l’eredità pesante di quella notte. Qualche giorno fa i presidenti delle varie nazioni europee hanno scelto, a seguito della ratifica del trattato di Lisbona, i nuovi responsabili delle politiche comunitarie, a cui spetta l’arduo compito di ridare smalto e slancio al progetto di una grande Europa, che possa competere a viso aperto con le altre potenze mondiali, USA e Cina. Le nomine sono state precedute da un lungo tira e molla intorno ai nomi di vari papabili, primi fra tutti Aznar e Blair. Alla fine la scelta è ricaduta sul premier belga Herman Van Rompuy. Non mi esprimo sul merito della nomina, che considero non all’altezza degli obiettivi che ci eravamo prefissati. Tuttavia c’è una nota positiva in tutto ciò: se l’Europa spesso non avanza, è perché il Consiglio non riesce a trovare un accordo sulle proposte della Commissione. Herman Van Rompuy sembra proprio avere la capacità di creare consenso. Nicolas Sarkozy, il presidente della repubblica francese, ha sottolineato che «questo fiammingo è un uomo che nel suo passato non ha fatto che mettere d’accordo le persone intorno a lui». E non su soluzioni minimalistiche: da ministro del bilancio del Belgio, ad esempio, prima di diventarne primo ministro, ha condotto con successo una difficile operazione di risanamento della finanza pubblica. Questo fa ben quindi ben sperare: oggi c’è bisogno di costruire un’Europa forte, unita, capace di valorizzare e non di schiacciare le peculiarità e le caratteristiche di ogni popolo. È questa la grande lezione di democrazia che la caduta del Berliner Mauer ci ha lasciato in eredità, che noi giovani per primi abbiamo l’obbligo di onorare e seguire. Ne saremo capaci? Sono sicuro di sì. Anche se davanti a noi ci sono ancora alti muri da scalare e da abbattere. Ecco perché oggi dobbiamo essere pronti a dire ancora una volta: “Tear down this wall!”.

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