lunedì 30 novembre 2009
Il triste destino dei giovani italiani
sabato 28 novembre 2009
Anche Lombardo e Micciché con Rutelli?
venerdì 27 novembre 2009
Tear down this wall!
Chi lo avrebbe mai detto che quella notte il Muro sarebbe caduto davvero? Chi lo avrebbe mai detto che il simbolo più evidente e tragico della Guerra Fredda, alla fine, si sarebbe sbriciolato come un castello di carte? E chi sarebbe mai stato pronto a giurare che dopo la notte del 9 novembre 1989 tutto in Europa sarebbe andato incontro a un’inesorabile e irreversibile trasformazione? Il Berliner Mauer era prima di tutto una certezza: quella, cioè, che Occidente democratico e Est comunista non si sarebbero mai potuti mettere d’accordo e che finché uno dei due non sarebbe riuscito a prevalere sull’altro, Berlino sarebbe stata condannata a rimanere spaccata in due. Di là i rossi, di qua i moderati. Senza possibili vie di mezzo. Guai ad immaginare il confronto e lo scambio libero tra le due parti: sarebbe equivalso a una sconfitta dell’ultima parte (autorizzata però dagli altisonanti, vacui, indefiniti e burocratici accordi di pace) di autoritarismo antiliberale nel cuore dell’Europa. Per quasi trent’anni nessuno sembrò essere in grado di rovesciare quell’assurdo e sconcertante dato di fatto: il timore di una terza guerra mondiale, a base di bombe nucleari, era troppo forte anche per i più solidi paladini della libertà. Tutto sembrava perduto, fino a quando due grandi presidenti americani, JFK e Ronald Reagan, non ebbero il coraggio e la forza di sfidare quella paura. E ne ebbero ragione: l’entusiasmo che le loro parole infusero nell’impaurita e opaca Mitteleurope fu tale da garantire una rinascita intellettuale, culturale e morale che qualche anno dopo porterà al crollo del Muro e al tracollo dell’utopia comunista. Alzi la mano chi non ha mai sentito le straordinarie e meravigliose frasi di entrambi: “Ich bin ein Berliner!” e “Tear down this wall!”. Rappresentano due modi diversi di trovare una soluzione al problema (probabilmente influenzata dalla diversa concezione politica) ma allo stesso modo efficaci e potenti. Se davvero qualcuno non le ha mai sentite vada su Youtube e le ascolti, tutte e due, una dopo l’altra: sentirà l’entusiasmo e l’euforia incontenibile di un popolo rinato a vita nuova, che armato di picconi, martelli o solo con le semplici mani, è riuscito a trasformare una comune, fredda e gelida notte di novembre nell’inizio di una nuova era. Ma ora, dopo 20 anni, che effetto fa a dei ragazzi che non hanno mai conosciuto il Muro vedere quei momenti e quelle foto? Cosa sente, quindi, un giovane della “post generation” di fronte al suo ricordo? Noia? Entusiasmo? Indifferenza? Tutte queste cose insieme? Abbiamo provato anche noi a dare una risposta a questa domanda, chiedendo ai diretti interessati. E abbiamo avuto risultati molto, molto interessanti. Su un campione di 100 intervistati, infatti, ben 73 persone sapevano che quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dalla caduta, mentre solo il 20 per cento ricordava che il Muro cadde durante il mese Novembre. La maggior parte di loro, invece, ha detto di considerare la caduta del Muro un importante avvenimento per la storia dell’Europa, mentre solo una minima parte la considera un evento ininfluente per il Vecchio Continente. Novanta intervistati su cento hanno assicurato di aver visto almeno una volta nella vita una foto di quella magica notte e il 70 per cento degli intervistati ha scelto l’aggettivo “entusiasmante” per definirla, mentre il 20 per cento ha scelto “bella” e solo il 10 l’ha definita “inutile”. Questa piccola carrellata di dati ci spinge a fare qualche riflessione più profonda per confrontarci seriamente con l’eredità pesante di quella notte. Qualche giorno fa i presidenti delle varie nazioni europee hanno scelto, a seguito della ratifica del trattato di Lisbona, i nuovi responsabili delle politiche comunitarie, a cui spetta l’arduo compito di ridare smalto e slancio al progetto di una grande Europa, che possa competere a viso aperto con le altre potenze mondiali, USA e Cina. Le nomine sono state precedute da un lungo tira e molla intorno ai nomi di vari papabili, primi fra tutti Aznar e Blair. Alla fine la scelta è ricaduta sul premier belga Herman Van Rompuy. Non mi esprimo sul merito della nomina, che considero non all’altezza degli obiettivi che ci eravamo prefissati. Tuttavia c’è una nota positiva in tutto ciò: se l’Europa spesso non avanza, è perché il Consiglio non riesce a trovare un accordo sulle proposte della Commissione. Herman Van Rompuy sembra proprio avere la capacità di creare consenso. Nicolas Sarkozy, il presidente della repubblica francese, ha sottolineato che «questo fiammingo è un uomo che nel suo passato non ha fatto che mettere d’accordo le persone intorno a lui». E non su soluzioni minimalistiche: da ministro del bilancio del Belgio, ad esempio, prima di diventarne primo ministro, ha condotto con successo una difficile operazione di risanamento della finanza pubblica. Questo fa ben quindi ben sperare: oggi c’è bisogno di costruire un’Europa forte, unita, capace di valorizzare e non di schiacciare le peculiarità e le caratteristiche di ogni popolo. È questa la grande lezione di democrazia che la caduta del Berliner Mauer ci ha lasciato in eredità, che noi giovani per primi abbiamo l’obbligo di onorare e seguire. Ne saremo capaci? Sono sicuro di sì. Anche se davanti a noi ci sono ancora alti muri da scalare e da abbattere. Ecco perché oggi dobbiamo essere pronti a dire ancora una volta: “Tear down this wall!”.
giovedì 26 novembre 2009
Si accomodi pure...
mercoledì 25 novembre 2009
Perché Kadima non può attendere
domenica 22 novembre 2009
Elogio di Angela Buttiglione
mercoledì 18 novembre 2009
Ma per Gheddaffi non si indigna nessuno?
lunedì 16 novembre 2009
Ma quanto valeva il Lodo?
mercoledì 11 novembre 2009
La Verità
martedì 10 novembre 2009
Ora anche Di Pietro ha le sue 10 domande
- Le domande di Salvatore Borsellino
1) Di Pietro ha detto in una intervista che nelle liste di IDV non c’è un solo caso di incandidabilità, di immoralità e che tutti gli eletti e i candidati hanno il certificato penale al seguito, precisando che si intende per “immoralità” l’essere condannato con sentenza definitiva. Si rende conto l’Idv che, secondo questa lettura, un personaggio come Marcello Dell’Utri, non ancora condannato in via definitiva, sarebbe da ritenersi candidabile?
2) Nella stessa intervista Di Pietro ha affermato che Orazio Schiavone non è “neanche più condannato” perché il suo reato, secondo la “normativa successiva non è più neanche reato”. Lei ritiene che l’Idv possa candidare persone che hanno commesso reati che tuttavia, grazie alle depenalizzazioni del governo Berlusconi – ad esempio il falso in bilancio – “non sono più neanche reati”? Per quanto riguarda Porfidia, Di Pietro dice che non è vero che è indagato per il 426 bis, ma per un “banalissimo abuso d’ufficio” di quando era sindaco. Non pensa che la base di IDV, soprattutto i giovani, vogliano essere rappresentati da persone che non abbiano commesso neanche dei “banalissimi abusi”?
3) Di Pietro ha affermato che su 2500 eletti nell’IDV ci sono appena 32 persone che provengono da esperienze politiche precedenti. La cifra sembra molto bassa, ma se anche fosse, non pensa che sia un problema che queste persone abbiano in parecchi casi una storia caratterizzata da disinvolti salti da uno schieramento all’altro che dimostrano, se non altro, una spiccata tendenza all’opportunismo e al trasformismo?
4) Nel raduno di Vasto sono intervenuto dicendo che per la prima volta avevo accettato di partecipare ad un raduno nazionale di un partito perché in quel partito mi sentivo a casa mia e con me si sentivano “a casa” i tanti giovani che si riconoscono nel movimento delle “Agende Rosse”. Dissi anche che mi sarei sentito a casa mia fino a quando anche quei giovani si fossero sentiti a casa loro. Possiamo sperare, sia io che questi giovani, che il processo in atto per fare veramente diventare IDV il partito della Giustizia, della Legalità, della Società Civile prosegua ed arrivi a compimento in maniera da farci sentire “definitivamente” a casa nostra?
5) Non pensa che sarebbe necessario dare una ulteriore spinta alla democratizzazione interna arrivando a pensare ad un segretario eletto dalla base attraverso delle primarie? Negli incontri che faccio in tutte le regioni d’Italia, per la maggior parte organizzati da giovani, raccolgo un diffuso senso di disagio: molti sono entrati con entusiasmo in IDV ma oggi si sentono scoraggiati perchè non hanno la possibilità, a causa degli ostacoli posti dai dirigenti locali del partito, di tradurre in attività concreta la loro adesione. Non crede che questa situazione possa portare questi giovani ad un passo indietro rispetto alla loro militanza in IDV, e a frenare l’ingresso di tanti altri giovani che potrebbero essere una iniezione di forze nuove, attive e spesso entusiaste?
- Le domande di Andrea Scanzi
6) L’Italia dei Valori è diventato il privilegiato approdo di molti delusi da sinistra, più per demeriti altrui che per meriti propri. E’ un partito che usufruisce di voti fluttuanti, radicalizzati ma non radicati. Un voto “in assenza di”: non un’adesione pienamente convinta. Quando scatterà – se scatterà – l’appartenenza?
7) L’immagine attuale dell’Italia dei Valori è quella di un partito in cui le personalità maggiori coincidono con Di Pietro e De Magistris: due ex magistrati. E’ normale o piuttosto il segnale che il “giustizialismo” può diventare un assillo, quasi una devianza patologica?
8) La questione morale è centrale nell’Italia dei Valori. L’inchiesta di MicroMega sembra però avere infastidito la nomenklatura. Per chi fa politica come l’Idv, sempre sull’orlo del populismo, è costante il rischio che a furia di fare i Robespierre prima o poi spunti un Saint-Just a rubarti scena (e testa). Non è per questo particolarmente sbagliato minimizzare i problemi interni (per quanto inferiori alla media)? Non avvertite l’esigenza di dimostrare che le Sonia Alfano e i Gianni Vattimo non erano specchietti per le allodole?
9) Il momento più basso dell’Idv è stato il voto contrario alla Commissione d’Inchiesta sulle mattanze a Bolzaneto e Scuola Diaz, quando il vostro partito era al governo. E’ di queste settimane il calvario di Stefano Cucchi. L’impostazione “poliziottesca” dei quadri dirigenziali dell’Idv (emblematico il caso Giovanni Palladini) può portare a una sottovalutazione di vicende analoghe? La vostra attenzione alla legalità contempla anche il garantismo e il coraggio di non reputare intoccabili magistrati e forze dell’ordine?
10) L’Italia dei Valori prospera per la risibile debolezza del Pd e perché il bipolarismo italiano è drammaticamente atipico: non centrosinistra e centrodestra, ma berlusconiani e antiberlusconiani. Questa radicalizzazione avvantaggia un partito di lotta come l’Idv: di lotta, ma non di governo. Cosa farà l’Italia dei Valori quando Berlusconi non ci sarà più? Non è un partito che, paradossalmente, per prosperare ha bisogno anzitutto del Nemico?